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Conte e l’informazione

5 Stelle

I graffi di Damato sulle precisazioni del presidente del Consiglio Conte riguardo la trasposizione mediatica dei lavori di governo

Mentre le agenzie rilanciavano in tutto il mondo la prima foto di un buco nero diffusa dalla rivista Astrophisical Journal e scattata dai telescopi Eht puntati sul centro della Galassia Virgo A, a 55 milioni -pensate un po’- di anni luce di distanza dalla nostra terra, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha denunciato con l’aria più normale possibile, en passant, un buco nero dell’informazione italiana, di ogni tipo e ordine.

LA STIZZA DI CONTE

“Come al solito, ci fate sempre litigare. È stata invece una tranquillissima riunione sul quadro di finanza pubblica”, ha detto il professore Conte smentendo liti, battibecchi, insofferenze e ogni altro tipo di difficoltà discorsive, diciamo così, nella “riunione” peraltro assai breve del Consiglio dei Ministri in cui è stato approvato il Def, acronimo del documento di economia e finanza: 35 minuti in tutto.

PRIMA E DOPO IL CDM

In verità, prima e anche dopo la seduta del Consiglio dei Ministri, sempre sullo stesso documento e problemi annessi e connessi, soprattutto la “rivoluzione storica” della tassa piatta che Matteo Salvini continua a promettere entro l’anno, si sono svolte varie riunioni politiche, tecniche e di entrambi i tipi insieme, in cui possono essersi verificate le liti smentite da Conte parlando solo del Consiglio, appunto. Ma la tirata d’orecchie all’informazione resta lo stesso con quel richiamo al “solito” modo in cui giornali, telegiornali, talk show, agenzie e quant’altro riferirebbero del lavoro del governo. Eppure ogni tanto capita anche a Conte di lamentarsene, come ha fatto di recente chiedendo “più generosità” e meno polemiche.

Per fortuna, blindato nei suoi uffici di Palazzo Chigi, Conte non si è avventurato a parlare entusiasticamente del lavoro della sua maggioranza nelle aule parlamentari, nelle commissioni e nelle fluviali dichiarazioni che leghisti e grillini si scambiano fra di loro sui giornali e via etere, con messaggi a volte criptici. Il più clamoroso dei quali è stato forse quello sfuggito a un sottosegretario grillino precisando, o assicurando, che un attacco appena subìto, e neppure ancora cessato, dal ministro del Tesoro, collaboratori e familiari non fosse addebitabile alla “intelligence” del movimento delle cinque stelle.

L’ESECUTIVO ALLA LUCE DEL SOLE

Il lavoro della maggioranza gialloverde per fortuna è pubblico. Esso si svolge praticamente all’aperto, come in una scatola di tonno ben aperta, per rimanere nelle promesse di trasparenza fatte proprio dai grillini arrivando nel 2013 in Parlamento. Dove proprio quell’anno una senatrice pentastellata destinata nella legislatura successiva a diventare addirittura vice presidente dell’assemblea non si trattenne dal manifestare la voglia, per fortuna repressa, di sputare addosso a Silvio Berlusconi nell’aula di Palazzo Madama. Dalla quale l’ex presidente del Consiglio, già allontanatosi di suo per fortuna nella vicina residenza di via del Plebiscito, stava per essere espulso per sostanziale indegnità a votazione palese. E in applicazione retroattiva, come spiegherò, di una legge perché condannato in via definitiva per frode fiscale neppure compiuta direttamente ma permessa o consigliata agli amministratori di una sua azienda neppure processati, se non ricordo male.

Tutto ciò -permessi, consigli, sollecitazioni e quant’altro a sottrarre allo Stato una parte peraltro infinitesimale delle tasse pagate dal suo gruppo – era accaduto, diciamolo pure senza il condizionale opposto ancora dal Cavaliere criticando la condanna rimediata anche in Cassazione, molti anni, non mesi, prima che quella legge, nota col nome dell’ex ministra della Giustizia Paola Severino, costatagli il seggio parlamentare fosse stata non dico approvata, né discussa, ma neppure pensata.

A PROPOSITO DELLA SPAZZACORROTTI

Perché rivangare tutto questo?, potrebbe chiedere qualcuno. Perché la logica di quella legge, varata dal governo tecnico di Mario Monti e distrattamente approvata in Parlamento anche da Berlusconi o dai suoi, è stata talmente condivisa dal governo in carica, a cominciare dal presidente del Consiglio, professore di diritto e avvocato civilista, da essere trasferita nella legge cosiddetta spazzacorrotti, promulgata tre mesi fa dal capo dello Stato nonostante i dubbi espressi dal Consiglio Superiore della Magistratura da lui stesso presieduto, e applicata anch’essa retroattivamente.

 

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