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Conte fa la guerra a Draghi ma perde voti tra i 5 Stelle

Ripresa Conte Draghi

I Graffi di Damato

Neppure la decisione di mettersi in qualche modo di traverso sulla strada della fermezza adottata dal governo di fronte alla guerra di Putin all’Ucraina -o forse proprio per questo, col supporto polemico di quel Mario Draghi fotomontato sul Fatto Quotidiano in armi e tuta mimetica accanto al presidente americano Joe Biden- ha aiutato Giuseppe Conte a mobilitare di più gli attivisti del MoVimento 5 Stelle nelle elezioni digitali promosse per la sua conferma a presidente, dopo la sospensione disposta per via giudiziaria.

Le ferma protesta contro Draghi per la decisione, dallo stesso Conte condivisa in sede Nato quando era presidente del Consiglio, di destinare alle spese militari il due per cento del pil, ha portato alle urne non più di 59 mila iscritti su circa 160 mila: meno dei 63 mila del turno di agosto affossato dai reclami. Che peraltro potrebbero ripetersi, come già minacciato da alcun protestatari e preannunciato in prima pagina nel titolo dedicato dal Corriere della Sera alla conferma del leader.

La diminuzione dell’affluenza alle urne digitali, rimaste peraltro aperte per due giorni, si è tradotta anche in una riduzione dei voti ottenuti da Conte, scesi dai 62.242 di agosto scorso ai 55.610 di ieri. Che consentono però di dire e scrivere correttamente, almeno secondo i canoni grillini, non tenendo conto cioè della maggiorana astenutasi dalla votazione o dal referendum, come preferite, che il presidente del MoVimento, unico candidato in campo, è stato confermato con un quasi plebiscitario 94.19 per cento dei voti.

Per quanto ammaccato, quanto meno, per non evocare la figura letteraria del “Visconte dimezzato” di Italo Calvino, l’ex presidente del Consiglio si è affrettato a cantare vittoria. Egli ha cioè apprezzato il risultato, considerandolo conforme alle sue pur alte aspettative, vista la minaccia avanzata nei giorni precedenti di non accettare una conferma stentata, e si è predisposto ad un incontro, annunciato proprio per oggi, col presidente del Consiglio Draghi per esprimere il presunto, nuovo, più combattivo corso della politica grillina in questo scorcio ormai di legislatura. In cui i problemi generali si sono aggravati con la guerra in Ucraina e la posizione fortemente atlantista assunta personalmente dal capo del governo.

“Tutta la nostra forza per opporci al 2% alle armi”, ha detto Conte in una intervista rilasciata, non credo casualmente, al giornale dei vescovi italiani Avvenire, contando forse sui “pazzi” dati recentemente da Papa Francesco a quanti aumentano le spese militari. Ma il Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, ha riconosciuto o ricordato la necessità delle armi imposta a volte dai fatti, tipo quelli -c’è da presumere- voluti da Putin con un atteggiamento che Biden ha definito da “macellaio”, pur senza il consenso del presidente francese Emmanuel Macron. Che ha voluto dissentire essendo fra i leader occidentali quello che più frequentemente ha parlato e parla col capo del Cremlino, nella speranza che prima o dopo si crei una breccia nelle trattative: veleni permettendo, verrebbe voglia di aggiungere a proposito del caso Abramovic appena esploso tra annunci, smentite e precisazioni.

Nonostante l’asprezza della posizione amtimilitarista, diciamo così, assunta da Conte in questo passaggio delicatissimo della politica internazionale, mentre gli ucraini con l’appoggio esplicito dell’Occidente resistono all’aggressione russa, il segretario del Pd Enrico Letta ha ritenuto di esprimere ottimismo sulla possibilità di mettere la maggioranza al riparo da sorprese e incidenti nei percorsi parlamentari delle iniziative del governo Draghi: un ottimismo non so se più di ufficio o davvero convinto.

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