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Conte prova a inserirsi nei colloqui tra Biden e Draghi

Conte Giugno

I Graffi di Damato

Dal buco nero della Via Lattea, il “Sagittarius A”, che avevamo appena ammirato vedendone la fotografia nei telegiornali, abbiamo dovuto passare ieri sera, nella “piazza pulita” di Corrado Formigli, sulla 7, al più modesto buco nero procurato alla maggioranza di governo dall’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ora presidente solo del MoVimento 5 Stelle. Che ha posto un veto contro un altro invio di armi italiane all’Ucraina, dopo il terzo appena predisposto dal governo esaurendo -secondo Conte– il mandato ricevuto in questa materia dal Parlamento, o non avendolo forse mai avuto davvero.

Di armi in Ucraina -ha detto il predecessore di Mario Draghi a Palazzo Chigi- ce ne sono già troppe, per cui fornendone altre al presidente Zelensky, specie poi se dovessero essere anche carri armati, boicotteremmo le trattative per la pace sulla cui strada il capo del governo si è appena impegnato incontrando alla Casa Bianca il presidente americano Biden. Al quale ha persino chiesto di fare un po’ il primo passo chiamando Putin, come lui stesso ha poi tenuto a far sapere col presumibile permesso dell’interlocutore, secondo una ragionevole deduzione esposta dal direttore della Repubblica Maurizio Molinari. Secondo il quale i rapporti di amicizia con Biden sarebbero troppo forti perché Draghi potesse comprometterli rivelando una richiesta del genere senza il consenso dell’interessato.

Non sarebbe obiettivamente una novità da poco una telefonata o altro contatto americano col Cremlino dopo che Biden ha dato a Putin del “criminale” e del “macellaio” procurandosi il dissenso del presidente francese Emmanuel Macron. Ma -va precisato anche questo- non di Draghi, che anzi ha usato pure lui a Washington l’immagine della “macelleria” per descrivere l’aggressione e l’invasione russa dell’Ucraina. E la conseguente urgenza di far cessare la guerra, magari avviando già quella “trattativa segreta” su cui ha titolato oggi la Repubblica con l’aria di saperne davvero.

Peccato tuttavia per Conte, per il suo veto o buco nero nella maggioranza, e per il solito Fatto Quotidiano che con aria compiaciuta ne ha reclamizzato l’iniziativa fra titoli e fotomontaggio in prima pagina, che Draghi abbia indicato a sostegno delle trattative di pace la realtà un po’ meno favorevole dell’inizio della guerra per Putin. E ciò a causa della forza acquisita e dimostrata dagli ucraini resistendo all’invasione e contrattaccando con gli aiuti militari dell’Occidente. La cui cessazione pertanto, a cominciare dall’Italia, appare contraria alla logica della posizione, linea e quant’altro del presidente del Consiglio. Ma anche -direi- del segretario del Pd Enrico Letta.

Quest’ultimo, collegato con Formigli dall’esterno e intervistato subito dopo l’uscita di Conte dallo studio, evitando così ad entrambi l’inconveniente di un difficile confronto diretto, nel riconoscersi pienamente nell’azione sin qui condotta da Draghi ha ricordato all’insofferente socio di maggioranza che ogni cambiamento va deciso da tutti insieme, non imposto da qualcuno a qualcun altro. Il migliore regalo che si possa fare a Putin in questa fase -ha ammonito Enrico Letta– è dividerci “fra noi”, intendendosi per tagli gli europei, gli occidentali e la maggioranza di governo in Italia. Noi -ha insistito il segretario del Pd- dopo avere ascoltato Draghi in Parlamento siamo pronti a discutere e a votare, come l’ex presidente del Consiglio reclama appunto che si faccia fra Camera e Senato.

Nonostante questo, Enrico Letta ha espresso fiducia -beato lui- nella prosecuzione dell’alleanza con Conte. Che d’altronde gli aveva offerto la rinuncia del grillino antiamericano Gianluca Ferrara a candidarsi alla presidenza della nuova commissione Esteri del Senato, dopo la dissoluzione del vecchio organismo imposta dal rifiuto di putininianissimo e ormai ex grillino Vito Petrocelli di lasciarne la guida.

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