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Cosa fa Renzi?
I Graffi di Damato. Ci ripenso: tenete lontanissimo Matteo Renzi da Roma
Come le cose piccole, di noi presi singolarmente con un nostro problema imprevisto, moltiplicato solo dagli accidenti per chissà quante altre volte, per esempio uscire da una sala operatoria apparentemente come si era entrati, storditi ma col cuore salvato, ci fanno perdere davvero la bussola e renderci inconsapevoli della nostra intrinseca, umana e incommensurabile debolezza.
Ha avuto coraggio Emilio Giannelli a subire ed esprimere nella sua vignetta di prima pagina sul Corriere della Sera la tentazione di un nuovo avvio. Ed è fuggito dal disordine del Covid, delle loro morti, della nostra spaventosa inadeguatezza a tutto, aggravata dalla solita presunzione di sapere tutto e di poterne uscire con le solite operazioni da rammendo, immaginando un nuovo, possente Michelangelo a restituirci la nuova vita.
Ad averlo un nuovo Michelangelo, portarlo nella Cappella Sistina da Papa Bergoglio con quel nome miracoloso di Francesco.
Se in un attimo di sbandamento, quasi ancora sotto i ferri, con le ultime cose sentite e lette della nostra quotidianità, sono stato così malaccorto da recuperare la riforma costituzionale di Matteo Renzi sventatamente bocciata cinque anni fa dagli italiani e restituire un ordine alle competenze locali capaci di sopravvivere a una pandemia sciaguratamente lasciata alle competenze regionali, provate ad immaginare davvero, essendo peraltro di quelle parti, il senatore di Scandicci sotto i soffitti della Sistina tornare a proporci la “nuova vita”, come l’ha chiamata Giannelli.
Che altri guai riuscirebbe a combinare Renzi portando alla dannazione stavolta Bergoglio. Altro che le mie ingenue aperture di credito, nonostante tutti i casini combinati l’anno scorso – scusate la parolaccia – spingendo all’alleanza di governo il suo Pd e i grillini. E ritrovandosi adesso insieme col rottamato più storico della sua covata – Massimo D’Alema – su una strada che farebbe traboccare gli ospedali come le discoteche dell’estate scorsa, nella rappresentazione fatta sul Secolo XIX da Stefano Rolli. Per carità, non facciamone niente.