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Cosa pensano Onida, Clementi e Capezzone sull’autonomia regionale

Riportiamo le considerazioni e le ricostruzioni, non scontate di Valerio Onida, Francesco Clementi e Daniele Capezzone sul tema dell’autonomia regionale che sta infiammando il dibattito politico

L’autonomia regionale avanzata da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, tema principale del Consiglio dei Ministri di ieri sera pesa come un macigno sulle sorti del Governo giallo verde e fa discutere anche fuori da Palazzo Chigi e dal Parlamento. Parliamo di una richiesta approvata dalle regioni interessate e passata con un referendum (in Veneto e Lombardia) nel 2017, ma il dibattito pubblico, come spesso accade, sembra aver scoperto solo nelle ultime 48 ore l’esistenza di un tema cosi dirimente. Tema, quello dell’autonomia previsto dalla riforma costituzionale del 2011, approvata all’epoca da una maggioranza di centro sinistra (articolo 116 comma III).

Riportiamo di seguito le considerazioni di alcuni esperti e osservatori in controtendenza rispetto ad una facile lettura che si potrebbe dare dell’autonomia regionale. Semplificare in questi casi non serve, visto che la realtà è più complessa, specialmente quando si parla di costruzioni legislative del tutto nuove.

VALERIO ONIDA, EX PRESIDENTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE, SU LA REPUBBLICA

L’ex Presidente della Corte Costituzionale, Valerio Onida, risponde così dalle colonne de la Repubblica che gli chiede se l’autonomia non rappresenti la secessione dei ricchi: “No, è l’attuazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, una norma voluta dal centrosinistra e approvata con il referendum del 2001. Sempre che sia attuata in conformità allo spirito e alla lettera della Costituzione”.
Non è quindi un attentato alla coesione sociale, come temono al Sud? “No. L’autonomia ha come scopo anche il riconoscimento delle differenze, e questo in sé è un valore. Lo affermarono anche i padri costituenti, quando vararono nel 1947 le autonomie regionali, e in particolare anche le regioni a statuto speciale nel 1948″. Onida che di certo non coltiva simpatie nei confronti della maggioranza di Governo dà un quadro neutro e tecnico al tema dell’autonomia regionale.

FRANCESCO CLEMENTI SU IL SOLE 24 ORE

Più articolata la posizione del giurista Francesco Clementi che dalle colonne de Il Sole 24 Ore con un commento a pagina 3 riporta una serie di considerazioni: “Il principio di uniformità di trattamento dei diritti dei cittadini sul territorio nazionale vedrà ridurre, innanzitutto, i suoi spazi in favore di una articolazione differenziata, appunto, sul territorio. A presidio rimarranno, naturalmente, tanto i limiti costituzionali “comuni” all’asimmetria dell’autonomia regionale, agglutinati primariamente intorno alla competenza esclusiva dello Stato riguardo alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (ex lettera m dell’art. 117 Cost.), così come intorno a quanto la Corte costituzionale ha inteso garantire in oltre diciotto anni di giurisprudenza. E tuttavia, la rottura del “culto per l’uniformità” modificherà inevitabilmente il panorama del regionalismo italiano, mettendo in questione – senza ipocrisie – pure lo stesso concetto di specialità che storicamente qualifica, come noto, cinque tra le 20 regioni italiane”.

Continua il professore di diritto pubblico comparato dell’Università di Perugia, parlando dell’esigenza di rafforzare la Forma di Stato: “l’introduzione di un’autonomia differenziata porrà, con ancora più chiarezza, la necessità di un baricentro stabile alla nostra Forma di Stato, richiedendo la presenza costituzionale delle autonomie nel Parlamento nazionale, tramite la riforma del Senato; d’altronde, sarebbe ben strano che, proprio un Paese così differenziato e multiforme, mantenesse la Conferenza Stato-Autonomie come luogo principale di confronto politico, pur non avendo quell’istituzione, come noto, le stesse garanzie democratiche ed istituzionali tipiche di un’Assemblea parlamentare. Su questo potenziale sfondo, si pongono poi alcune questioni più specifiche, a partire dal metodo di approvazione di un disegno di legge che, proprio in ragione di una mancanza di una disciplina attuativa, non può non favorire un libero confronto nella dinamica parlamentare comprese forme di emendabilità rispetto all’intesa raggiunta; d’altronde, una chiusura “a riccio” non farebbe altro che alimentare i timori – mai ingiustificati in casi del genere – per la tenuta unitaria del Paese”.

DANIELE CAPEZZONE SU LA VERITA’, RIPRESO DA START MAGAZINE

Fa una ricostruzione di quanto accaduto in Consiglio dei Ministri invece Daniele Capezzone, ex parlamentare e politico di lungo corso, osservatore attento e spesso in controtendenza con facili letture piene di luoghi comuni, dalle colonne de La Verità di Maurizio Belpietro (ripreso anche da Start Magazine): “Sul piano politico, è comprensibile l’attesa delle Regioni che hanno spinto di più, a partire dai governatori della Lombardia Attilio Fontana e del Veneto Luca Zaia. Approccio molto costruttivo anche dalle altre Regioni che hanno intrapreso il cammino, a volte puntando a un numero più limitato di materie. Ad esempio il governatore della Liguria Giovanni Toti ha fatto sapere che per la sua Regione le priorità sono soprattutto l’autonomia dei porti e della rete logistica. Sul versante opposto, prevedibile (i governatori di Campania e Puglia hanno già cominciato) qualche lamento su presunte risorse in più destinate al Nord, ma a onor del vero si tratta di polemiche di retroguardia“.

Ma a che punto sono le trattative con le regioni del Nord interessate? Capezzone cita fonti governative e scrive: “Per la trattativa con il Veneto, le questioni aperte riguardano le competenze in materia di ambiente (rifiuti, danno ambientale, bonifiche, valutazione impatto ambientale), di sanità (farmaceutica, spesa per il personale sanitario, sistema tariffario e di rimborso), di infrastrutture (porti, aeroporti, autostrade e ferrovie), di cultura e Mibac (sovrintendenze e Fus). Più o meno analoga la situazione per ciò che riguarda il negoziato con la Lombardia: anche qui i punti da dirimere riguardano l’ambiente (rifiuti, bonifiche, valutazione di impatto ambientale), la sanità (farmaceutica, spesa per il personale sanitario, sistema tariffario e di rimborso), le infrastrutture (porti, aeroporti, autostrade e ferrovie), la cultura e il Mibac (sovrintendenze e Fus). Come si vede, la battaglia è essenzialmente su più competenze da “strappare” allo Stato a favore della Regione.

Un po’ diverso lo stato del negoziato con l’Emilia Romagna, dove la materia del contendere sembra più legata alle risorse che alle competenze. La Regione rivendica risorse certe sulla difesa del suolo, sull’edilizia scolastica e il diritto allo studio, per la riqualificazione urbana e le periferie, per la sanità e i relativi ticket (oltre alla programmazione in ciascuno di questi ambiti). L’Emilia Romagna rivendica inoltre poteri di programmazione per le ferrovie (con la regionalizzazione del fondo per il trasporto pubblico locale), vuole misure per la montagna (fiscalità di vantaggio, ad esempio riduzioni Irap) e possibilità di istituire zone economiche speciali. Ancora, viene rivendicata la regionalizzazione dei contratti e degli accordi di sviluppo, almeno fino a una certa soglia (20-30 milioni), e infine la competenza sulla procedura di Via anche delle infrastrutture statali di interesse regionale”.

 

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