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Cosa prevede la norma dei revisori Mef nelle aziende e perché è tanto contestata

revisori Mef

Da Forza Italia a Confindustria, dal Cnel ai commercialisti, coro di no sulla norma che introduce rappresentanti del Mef nelle società che prendono soldi pubblici

La legge di bilancio 2025, attraverso l’articolo 112, introduce una modifica significativa nei controlli finanziari delle aziende e degli enti che ricevono contributi pubblici. In base a questa norma, ogni azienda che riceva almeno 100mila euro di fondi statali dovrà includere nel proprio collegio sindacale un membro nominato dal Ministero dell’economia e delle finanze. L’obiettivo dichiarato di questa disposizione è il rafforzamento delle funzioni di controllo e monitoraggio della finanza pubblica. Tuttavia, l’iniziativa ha suscitato forti critiche da parte di diversi esponenti del mondo politico, imprenditoriale e delle professioni, i quali la ritengono un’ingerenza eccessiva nella gestione delle imprese private.

I DETTAGLI DELLA NORMA

La norma stabilisce che il nuovo obbligo si applichi a tutte le società per azioni, cooperative, fondazioni e associazioni che beneficiano di un contributo pubblico di almeno 100mila euro. Per il momento, questa soglia è provvisoria e potrà essere rivista entro marzo 2025 tramite un Dpcm su proposta del Mef. La disposizione esclude, invece, le società controllate o partecipate da regioni ed enti locali.

Per garantire la conformità con la norma – come sottolinea Italia Oggi – le aziende interessate dovranno adeguare i propri statuti e regolamenti entro aprile 2025. I revisori nominati dal MEF saranno incaricati di monitorare la gestione delle risorse pubbliche ricevute e dovranno inviare rapporti periodici al Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, in linea con le direttive MEF e le normative europee in materia di finanza pubblica.

LE CRITICITÀ SEGNALATE

Se da un lato la norma nasce con l’obiettivo di vigilare sull’uso dei fondi pubblici, dall’altro – secondo i critici – presenta alcune lacune e aspetti controversi. Una delle principali problematiche segnalate è che l’obbligo di integrazione del collegio sindacale o di revisione riguardi solo le società con organi di controllo pluripersonali, escludendo quindi società come le S.r.l. con sindaco unico o revisore. Inoltre, molti sostengono che l’attuale normativa già prevede misure di monitoraggio adeguate, considerando che i professionisti nei collegi di revisione sono spesso qualificati dottori commercialisti e revisori legali. Alcuni esperti suggeriscono che un semplice obbligo di rendicontazione al MEF da parte dei revisori già presenti potrebbe ottenere risultati simili senza bisogno di introdurre una figura di controllo statale aggiuntiva.

LE CRITICHE DI TAJANI (“ROBA DA GERMANIA DELL’EST”) E CONFINDUSTRIA (“ECCESSIVAMENTE INTRUSIVA”)

Il vicepremier Antonio Tajani ha definito la norma come una “sciocchezza colossale”, considerandola un’idea da “Germania dell’Est” che introduce un controllo statale inappropriato all’interno delle imprese private. Tajani ha ribadito che il controllo delle aziende private non dovrebbe spettare a funzionari ministeriali, ma dovrebbe rimanere una prerogativa delle aziende stesse. Proprio per questo Forza Italia è uno dei partiti maggiormente sensibili a introdurre emendamenti e modifiche alla norma in manovra.

Dello stesso avviso è Confindustria, che ritiene la misura “eccessivamente intrusiva” e una dimostrazione di sfiducia nei confronti delle imprese. L’associazione degli industriali sottolinea come le aziende siano già soggette a vari oneri di monitoraggio e chiede quindi l’abrogazione della norma.

IL CNEL DI BRUNETTA: “PERPLESSITÀ SU REVISORI MEF IN ORGANI CONTROLLO”

Dura anche la presa di posizione del Cnel guidato dall’ex ministro forzista Renato Brunetta: “Si esprime perplessità per la misura che impone la presenza di un rappresentante del Mef negli organi di controllo di Enti che ricevono contributi pubblici, dal momento che il collegio sindacale già svolge un ruolo a tutela dell’interesse sociale e anche pubblico nel vigilare sulla legalità dell’operato degli amministratori, e che tale ruolo è garantito dai requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza che la legge pone in capo ai sindaci, e che prescindono da chi sia il soggetto legittimato a nominarli”.

LA POSIZIONE DEI COMMERCIALISTI

Il Consiglio Nazionale dei Commercialisti ha espresso un netto rifiuto della norma, ritenendola lesiva delle libertà fondamentali previste dalla Costituzione e incompatibile con l’ordinamento dell’Unione Europea. I commercialisti evidenziano come l’attuale sistema di vigilanza, già affidato a professionisti qualificati, sia sufficiente per garantire la trasparenza e il rispetto della legge. La nuova norma, secondo i commercialisti, non solo è ridondante, ma compromette anche l’autonomia professionale di chi attualmente svolge un lavoro di controllo nei collegi sindacali delle società.

IL PARERE DI CONFESERCENTI E DELL’ALLEANZA COOPERATIVE

Anche Confesercenti e l’Alleanza delle Cooperative Italiane hanno espresso pareri contrari alla norma. Confesercenti propone, come alternativa all’abrogazione, di alzare la soglia di contributo rilevante a 500mila euro o limitare la presenza dei rappresentanti MEF solo alle società più strutturate, per evitare che le piccole e medie imprese siano eccessivamente gravate da un controllo statale. L’Alleanza Cooperative, da parte sua, definisce la norma “irragionevole” e impraticabile nella sua applicazione, sostenendo che andrebbe a limitare la libertà d’impresa e renderebbe difficoltoso il normale funzionamento degli organi di controllo aziendali.

Il dibattito sulla tanto contestata norma è ancora aperto e nei prossimi giorni si vedrà se la norma verrà rivista, abrogata o mantenuta, con l’eventualità di modifiche che potrebbero renderla meno invasiva per le aziende coinvolte.

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