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Cosa si saranno mai detti Draghi e Putin al telefono?

Draghi Mevdev

I Graffi di Damato

A meno di annunci o rivelazioni tenutesi in serbo per un incontro odierno programmato con la stampa estera, si può dire e scrivere poco della telefonata che Mario Draghi da Palazzo Chigi ha fatto a Vladmir Putin per “parlare di pace”, ha fatto sapere laconicamente il presidente del Consiglio. Di cui non si sa pertanto con quanto fondamento si possa valutare “la mediazione” attribuitagli da Repubblica. Dove forse non si condivide il pessimismo del Foglio gridato con quel titolo in rosso su tutta la prima pagina secondo cui “con Putin si parla con le armi”, come lui del resto continua a fare continuando a seminare morte e distruzioni in Ucraina nonostante i “progressi” annunciati o avallati dai suoi collaboratori nelle trattative svoltesi in Turchia tra mille precauzioni anti-avvelenamento. Zoppica evidentemente anche l’ospitalità ostentata di Erdogan.

Certo, la telefonata è già una notizia in sé, almeno rispetto alla liquidazione fatta di Draghi come interlocutore dal solito Marco Travaglio scrivendone come di un “ficus benjamin” anche in questa vicenda drammatica della guerra in Ucraina. Evidentemente, a corto com’è di vere vittorie da vantare nella sua “operazione militare speciale” nella limitrofa Repubblica che vive la sua “Resistenza”, come tanti partigiani italiani ai tempi dell’occupazione nazifascista, Putin ha tempo da perdere per parlare con piante ornamentali come il presidente del Consiglio italiano. Al posto del quale, magari, avrà preferito e preferirebbe sentire il predecessore Giuseppe Conte, tornato alla ribalta in Italia per la sua offensiva, pare anche parzialmente riuscita, contro gli accordi presi fra gli alleati della Nato di portare le spese militari nazionali al 2 per cento del pil: entro il 2028, ha appena proposto il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, del Pd, consentendo allo stesso Conte di cantare vittoria. E all’autore dell’ormai superato “Conticidio”, cioè il direttore del Fatto Quotidiano, di confezionare il dovuto e rapido fotomontaggio da cui Draghi risulta bocciato, nella sua posizione militarista e superatlantica, dal 72,9 per cento degli italiani sondati non so bene da chi: spero non con gli stessi criteri, chiamiamoli così, con i quali Giuseppe Conte si è sentito confermato alla presidenza del MoVimento 5 Stelle col quasi 95 per cento dei voti, comunque inferiori di almeno 7 mila rispetto ai 62 mila e rotti raccolti nella precedente gara digitale di agosto, vanificata dai ricorsi giudiziari accolti dal tribunale di Napoli. Dove peraltro la contesa non risulta ancora finita.

Con un pò di buona volontà e anche di buon umore, a dispetto della serietà o tragicità della situazione considerando quello che stanno ancora subendo gli ucraini a casa loro, o ciò che ne è rimasto, si possono girare ai politici che si sanno gonfiando il petto fra Mosca e Roma, immersi nei colori più diversi, la citazione dall’”Arte della guerra” di Sun Tzu pescata dall’ex parlamentare del pd, ex magistrato e ora solo felicemente scrittore di successo Gianrico Carofiglio: “I guerrieri vittoriosi prima vincono e poi fanno la guerra, mentre i guerrieri sconfitti prima vanno in guerra e poi cercano di vincere”. Ben detto, caro il nostro Sun Tzu, generale e filosofo cinese vissuto probabilmente fra il sesto e il quinto secondo avanti Cristo, addirittura. Ah, poterne prestare lo spirito ai tanti specialisti della guerra e della diplomazia che affollano i giornali, i salotti televisivi e i partiti, o ciò che n’è rimasto, come le case in Ucraina.

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