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Cosa si sono detti Draghi e Biden

Draghi Biden

I Graffi di Damato

C’è qualcosa di esagerato o quanto meno di improprio in quel “patto della Casa Bianca” che la Repubblica del superatlantista Maurizio Molinari ha voluto vedere nell’incontro fra il presidente americano Joe Biden e il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi. Lo stesso vale naturalmente per quel “gran patto per armare la democrazia” scelto e dipinto di un rosso compiaciuto dal Foglio fondato dal perdurante animatore Giuliano Ferrara e diretto da Claudio Cerasa, “il ragioniere” che piace ancor meno di Ferrara a Marco Travaglio. Che, dal canto suo, è stato questa volta più sobrio o misurato, come preferite, preferendo sottolineare nel titolo del suo Fatto Quotidiano le “lodi” di Biden a Draghi per avere “unito Nato e Ue”, non per avergli ubbidito.

In effetti Draghi è volato negli Stati Uniti e Biden lo ha atteso alla Casa Bianca non per stringere chissà quale “patto”, non avendone bisogno né l’uno né l’altro, d’accordo sin dal primo momento della guerra d’invasione e aggressione di Putin all’Ucraina, quanto per sottolineare questo loro rapporto privilegiato. Che non può essere certamente considerato una sorpresa, essendosi Draghi presentato alle Camere l’anno scorso, per chiedere e ottenere la fiducia, su una linea dichiaratamente “europeista e atlantista”. Giuseppe Conte e Matteo Salvini, ora uniti nei mal di pancia per questa linea, si erano evidentemente distratti in quell’occasione rimanendo nella vasta e “anomala” maggioranza raccomandata, diciamo così, dal presidente della Repubblica, contrario a sciogliere i nodi della politica alquanto aggrovigliati mandando gli italiani anticipatamente alle urne in piena pandemia.

Il rapporto privilegiato fra gli Stati Uniti di Biden, dopo la parentesi di Donald Trump alla Casa Bianca, e l’Italia di Draghi è tanto più evidente quanto più si cerca, a torto o a ragione, di rappresentare il confermato presidente della Francia, e presidente di turno dell’Unione Europea, Emmanuel Macron come distinto e forse anche distante dagli americani. A ragione, dicevo a proposito di questa rappresentazione, isolando dal contesto della sua ultima presa di posizione sulla guerra in Ucraina la necessità sottolineata da Macron di “non umiliare” il pur aggressore Putin. A torto, considerando che questa necessità, opportunità e quant’altro, come volete chiamarla, è stata rivendicata dal presidente francese parlando del dopoguerra in Ucraina, quando si saranno svolte e concluse le trattative. Alle quali purtroppo Putin continua a non essere disponibile, peraltro neppure chiamando per nome la guerra che ha aperto: una indisponibilità che Biden ha ricordato anche a Draghi quando questi, nell’incontro alla Casa Bianca, gli ha detto che l’Europa, tutta l’Europa, non solo la Francia di Macron, “vuole la pace”. E gli ha espresso questa volontà non certo per chiedergli l’autorizzazione a cercarla, come ha titolato con malizia Piero Sansonetti sul Riformista, una volta tanto in sintonia col Travaglio dell’umore peggiore, come anche -a destra- l’ormai solito Maurizio Belpietro. Che sulla prima pagina della Verità– traduzione italiana della Pravda dei tempi sovietici- si è speso personalmente con un editoriale per sostenere che “gli ucraini combattono per procura”, naturalmente americana, e “l’Italia li paga” con una “pioggia di miliardi” sottratti alle esigenze nazionali in periodo di rallentamento dell’economia o di temuta recessione.

Sulla necessità, opportunità e quant’altro di “non umiliare” Putin né prima né dopo la pace non sarebbe male se i lettori parziali di Macron si rendessero conto che Putin da quando ha avviato la sua cosiddetta “operazione speciale” in Ucraina ha fatto di tutto per umiliarsi da solo, addirittura con lo scandalo umano e militare appena scoperto dei cadaveri dei soldati russi lasciati chiusi e nascosti in camion refrigeratori, non degni neppure di un rimpatrio per la sepoltura.

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