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Dazi Usa sui farmaci, cosa si è detto all’evento di Farmindustria

Dazi sui farmaci, per il presidente di Farmindustria Marcello Cattani il mercato statunitense farebbe fatica a sostituire i prodotti italiani

Mondo pharma col fiato sospeso in attesa degli annunciati dazi Usa, che dovrebbero colpire anche le aziende farmaceutiche. Secondo un’analisi, l’eventuale introduzione di dazi reciproci del 25% sui farmaci tra gli Stati Uniti e altri Paesi avrebbe un costo per le aziende di 76,6 miliardi di dollari. Di questi, 2,5 miliardi graverebbero direttamente sulle imprese farmaceutiche italiane, mettendo a rischio la competitività della filiera produttiva nazionale.

Il tema della vulnerabilità del commercio italiano di farmaceutici è presente anche nei dati forniti dall’Istat, secondo cui il 22,8% delle esportazioni e il 33,4% delle importazioni sarebbero esposte ai trend del mercato estero.

Al coro di voci dal mondo produttivo italiano, s’è unita anche quella del presidente di Farmindustria Marcello Cattani, tornato sulla questione dei dazi Usa sui prodotti farmaceutici a margine dell’evento “Ricerca e futuro. ll contributo dell’industria farmaceutica per la salute di domani”.

Cattani sottolinea che la risposta ai dazi statunitensi deve essere politica e che l’UE, esportando 158 miliardi di farmaci nel mondo, non può essere facilmente sostituita da altre fonti. Stesso discorso vale per l’Italia: 11 miliardi di export di  farmaci e vaccini verso l’altra sponda dell’Atlantico non si rimpiazzano dall’oggi al domani.  “Non è possibile surrogare la produzione italiana ed europea con farmaci da altri Stati – aggiunge Cattani – siamo in una posizione di forza e la leva politica è forte. Gli Usa non possono pensare di switchare 11 miliardi di farmaci semplicemente perché non vi sono Paesi che possono fornire farmaci in tempo zero e di valore innovativo come quelli made in Italy”.

Anna Maria Bernini, Ministro dell’Università e Ricerca e Marcello Cattani, presidente Farmindustria

Del resto, di farmaci c’è bisogno tutti i giorni, e i cittadini americani non fanno certo eccezione. Il presidente di Farmindustria sottolinea l’importanza di negoziare “per escludere i farmaci dai dazi degli Stati Uniti”, sottolineando che “la posizione di andare a produrre farmaci in Usa soddisfa il principio di autonomia strategica ma bisogna fare attenzione poiché la produzione farmaceutica richiede anni” per essere spostata, e c’è il rischio di un’improvvisa carenza di medicinali sul mercato statunitense.

L’ipotesi di contro-dazi da parte dell’Unione Europea, in risposta a eventuali politiche tariffarie statunitensi, potrebbe avere un impatto significativo. Se il costo di importazione di farmaci dagli USA aumentasse, l’Italia e altri Paesi europei potrebbero rivedere le proprie strategie di acquisto, scegliendo di ridurre le importazioni da Oltre Oceano. Questo scenario non solo inciderebbe sull’accessibilità ai farmaci più innovativi, ma potrebbe avere ripercussioni anche sull’industria farmaceutica statunitense, che potrebbe perdere una parte del mercato europeo.

Piena fiducia dunque “nell’attività del governo con la Commissione Europea per una negoziazione che, magari, non sarà di successo nell’immediato ma che potrebbe poi avere un esito per un capitolo strategico come i farmaci”.

Sulle possibili conseguenze dei dazi, s’è soffermato nei giorni scorsi anche il professore Silvio Garattini, presidente dell’Ist. Mario Negri, che ha messo in luce un aspetto cruciale del commercio farmaceutico italiano: “esportiamo soprattutto prodotti fuori dal brevetto, che vengono definiti a basso valore aggiunto, perché nel nostro Paese c’è una buona produzione chimica, ma si svolge poca ricerca farmaceutica, quindi realizziamo meno prodotti innovativi che vengono tutelati giuridicamente”.

Questa dinamica, nello scenario di una guerra commerciale, si tradurrebbe in un aumento del costo di importazione di farmaci dagli USA, cui l’Italia e altri Paesi europei potrebbero rispondere rivedendo le proprie strategie di acquisto e scegliendo di ridurre le importazioni dagli Stati Uniti. Questo scenario non solo inciderebbe sull’accessibilità ai farmaci più innovativi, ma potrebbe avere ripercussioni anche sull’industria farmaceutica statunitense, che potrebbe perdere una parte del mercato europeo.

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