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Ddl Zan, ora Letta e Conte non stanno più sereni
I Graffi di Francesco Damato
Con l’enfasi cui spesso cede nonostante l’aspetto di uomo misurato e riflessivo -l’enfasi, per esempio, del “trionfo” annunciato dopo i ballottaggi comunali del 17 e 18 ottobre- il segretario del Pd Enrico Letta ha definito addirittura “uno stop al futuro” la battuta d’arresto subita al Senato, con una votazione a scrutinio segreto, dal disegno di legge contro l’omotransfobia già approvato alla Camera, noto col nome del deputato piddino proponente Alessandro Zan.
Analoga è stata la reazione di Giuseppe Conte, consolatosi con la convinzione che il Paese sia più avanti del Senato: cosa peraltro che contrasta con le resistenze tanto a lungo opposte dall’ex presidente del Consiglio ad uno scioglimento anticipato delle Camere evidentemente così indietro. Per evitare le urne egli rimase a Palazzo Chigi nel 2019 cambiando maggioranza, cioè sostituendo la Lega di Matteo Salvini col Pd di Nicola Zingaretti, e cercò di restarvi ancora a cavallo fra il 2020 e il 2021 arruolando “volontari”, “responsabili”, “costruttori” e quant’altri.
Più che il “futuro” retoricamente inteso come generale e assoluto, attribuendo all’antichità, che peraltro non è mai da buttare via così all’ingrosso, la visione della legge Zan da parte del centrodestra, che l’ha stoppata con l’aiuto sotterraneo di almeno 16 senatori dello schieramento opposto, ho la sensazione che il voto del Senato abbia compromesso solo il futuro della combinazione di maggioranza coltivata da Letta e Conte, basata su un asse privilegiato fra Pd e ciò che resta del Movimento 5 Stelle.
Di questa combinazione Conte pensava di poter essere addirittura il capo per il credito concessogli da Zingaretti di “punto di riferimento dei progressisti”. Ora il successore Enrico Letta, imbaldanzito non so se più per la salute del Pd da lui rinfocillato o per la febbre dei grillini misurata nelle elezioni amministrative di ottobre, pensa di poterne assumere direttamente e forse anche personalmente la guida. E forse per sperimentarne la praticabilità ha imprudentemente cercato, dopo qualche esitazione, prima aprendo e poi chiudendo il disegno di legge Zan a modifiche che potessero garantirgli maggiori consensi, o minori resistenze, lo scontro al Senato, Che si è chiuso a vantaggio invece del centrodestra, cui a conti fatti, tra osservatori e vignettisti, avrebbe fornito l’aiuto necessario un Renzi pur personalmente rimasto lontano dall’aula di Palazzo Madama, addirittura in terra araba, dove le sue consulenze sono molto apprezzate e ben retribuite. Di questo aiuto sono stati così sicuri al Fatto Quotidiano da averci titolato in prima pagina annunciando “la fondazione” di questa nuova maggioranza dalle ambizioni ben più grandi del semplice blocco di un disegno di legge.
Altri, da destra e da sinistra, esultando o strappandosi le vesti, hanno visto e indicato nella votazione al Senato ”le prove” della corsa al Quirinale o, più in particolare, della candidatura di Silvio Berlusconi. Che conta di poter centrare l’obiettivo del Colle dal quarto scrutinio in poi, quando occorrerà la maggioranza assoluta dei “grandi elettori”, non più quella dei due terzi. A dire la verità, tuttavia, pur superiori ai 131 voti dell’area giallorossa, chiamiamola così, i 154 voti segreti che hanno bloccato la legge Zan sono stati la maggioranza dei votanti, non del pieno dell’assemblea.