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Democrazia in emergenza. Perché viviamo in un perenne stato d’eccezione. Intervista a Ciro Sbailò

Il decisore politico ha fatto e sta facendo un uso spregiudicato dello stato d’emergenza? Gli strumenti giuridici disponibili sono stati distorti e usati in modo illegittimo? Lo abbiamo chiesto a Ciro Sbailò, autore del libro Democrazia in emergenza

Non abbiamo fatto in tempo a uscire dallo stato di emergenza Covid che Palazzo Chigi ne ha dichiarato un altro, fino al 31 dicembre, per la guerra in corso tra Russia e Ucraina. Si passa perciò da una eccezione a un’altra, sballottati nelle mani di questo o quel commissario, questa o quella struttura commissariale. Ne abbiamo parlato con Ciro Sbailò, professore ordinario di Diritto pubblico comparato presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma – UNINT, dove è anche Preside della Facoltà di Scienze della Politica e delle Dinamiche Psico-Sociali, che ha recentemente vergato per Paesi Edizioni un istant book molto interessante: “Democrazia in emergenza. Perché viviamo in un perenne stato d’eccezione“. Titolo e sottotitolo sono indubbiamente accattivanti e ben riflettono la situazione contingente, tant’è che abbiamo deciso di sfruttarli anche per questa nostra chiacchierata…

democrazia in emergenza
Ciro Sbailò

Professore, un vecchio adagio recita: “In Italia non c’è nulla di più definitivo del provvisorio e nulla di più provvisorio del definitivo”, potremmo dire che ben si adatta allo spirito del suo libro…

Effettivamente c’è un genio italiano della stabilizzazione del provvisorio che non deve essere visto per forza in modo negativo. È una strategia giuridica tipica italiana, proveniente dal diritto ecclesiastico, per avere e mantenere un certo margine di discrezionalità e di intervento e non trovarsi ingabbiati in formule astratte. Il vero problema, però, è che in Italia non abbiamo una disciplina dello stato di eccezione. Le eccezioni ci sono, si presentano e sono sempre più frequenti, data la complessità del mondo contemporaneo. Aumentano le opportunità e i rischi, anche grazie ad una crescita esponenziale della tecnologia, ma questa crescita non è accompagnata dalla crescita esponenziale del quadro giuridico-istituzionale. Il gap italiano, dato dalla mancanza della disciplina dell’eccezione, diventa oggi ancor più visibile perché le eccezioni diventano sempre più frequenti. Il legislatore, non avendo gli strumenti legislativi adeguati, deve lavorare riferendosi alla fonte di diritto necessitata, perché è suo dovere affrontare le emergenze.

Il sottotitolo del suo libro è “perché viviamo in un perenne stato d’eccezione”. È appena terminata l’emergenza Covid e il governo ha già introdotto fino a dicembre un’altra emergenza, legata alla guerra. È vero che viviamo in anni straordinari, ma non si perde di vista l’eccezione, se diventa la regola?

Prima di tutto, definiamo l’eccezione. Questa è una situazione non prevista rispetto alla quale le fonti giuridiche si dimostrano inadeguate. Compito del diritto è far si che le eccezioni siano affrontate con i giusti strumenti e rendere l’eccezione un fatto come un altro. Abbiamo sempre più eccezioni perché il quadro normativo non è adeguato all’evoluzione dei rischi e questa si presenta come simmetrica rispetto all’evoluzione delle opportunità e della tecnologia.

Può farci un esempio?

Un esempio, in tal senso, proviene dalla disciplina UE sull’utilizzo dei droni, entrata in vigore nel 2021, che ha subito un ulteriore ritardo rispetto a quanto il fenomeno tecnologico non sia già radicato e sviluppato nell’attuale società. Ritornando al punto precedente, la nostra struttura giuridica deve adeguarsi a questo sviluppo e in Italia il problema è più grave dato che la disciplina è assente. Pertanto, il perenne stato di eccezione è dovuto al fatto che il sistema si surriscalda e l’impianto di raffreddamento, che dovrebbe essere il diritto, è inadeguato.

A proposito di “impianto di raffreddamento”, abbiamo un sistema parlamentare bicamerale in cui le Aule fanno le stesse cose, due volte, i cui membri saranno presto votati perfino dalla medesima platea, tutti gli italiani maggiorenni: non sarebbe allora il caso di accelerare l’iter decisionale e confidare meno sul lavoro di commissari emergenziali?

Il fatto che il Parlamento italiano sia caratterizzato da un inutile processo stereofonico è verissimo, ma questo deriva da una scelta del legislatore costituente che ha preferito il bicameralismo, garanzia di equilibrio, rispetto ad una Camera delle Regioni, che avrebbe visto una larga vittoria della Sinistra (la DC non sarebbe stata d’accordo) o ad una riedizione in chiave repubblicana della Camera dei fasci delle corporazioni e con un notabilato senatoriale repubblicano e democratico, ma molto simile alla struttura fascista. Nemmeno l’idea monocamerale poteva andare bene, data la parentesi fascista (sul punto c’era il favore del PCI contro il pensiero della DC). Personalmente, resto favorevole al bicameralismo, strumento di razionalizzazione, ma credo anche che una Camera debba avere una funzione specifica.

Quindi l’unica via resta quella dei commissari?

L’affidarsi al lavoro dei commissari non è un errore, anzi, perché il Parlamento ha il compito, come in tutti i sistemi democratici, di legittimare e controllare l’operato dell’Esecutivo negli stati di emergenza e deve essere l’Esecutivo a decidere, dietro mandato parlamentare, in un tempo determinato. Questo è un meccanismo salutare per tutto l’Occidente. Il problema è che in Italia manca un mandato chiaro e incisivo che permetta al Governo di operare in tempi brevi.

Anche Draghi sta utilizzando i DPCM, pure per materie non attinenti all’emergenza Covid: si può dire che siano ormai entrati nel modo in cui il governo legifera abitualmente, sottraendo intere potestà decisionali al Parlamento?

Qui vorrei fare due considerazioni. La prima, generale, riguarda il fatto che siamo in un processo globale di presidenzializzazione degli Esecutivi. Possiamo citare il caso del Regno Unito, degli Stati Uniti (presidenzializzazione forte successivamente all’11/09) o della Francia, dove i parlamentari hanno manifestato tutto il loro dissenso per questa tendenza. Questo processo deriva dal gap tra lo sviluppo della tecnologia, dei rischi e delle varabili decisionali di cui tenere conto. L’Esecutivo ha oggettivamente bisogno di maggiore discrezionalità in diversi settori, dalla guerra all’economia. La seconda considerazione riguarda l’Italia, dove abbiamo avuto una difficile ricostruzione del tessuto politico dopo la distruzione del sistema dei partiti negli anni ’90. Il successivo bipolarismo centro-destra e centro-sinistra non ha funzionato perché costruito intorno a leadership soggettive e non strutturali e quindi incapaci di dare continuità politico-istituzionale. Penso al fatto che abbiamo avuto, per anni, un sistema nel quale c’era Berlusconi da una parte e chi lo contrastava dall’altra, ovvero la sinistra ma non solo.

Poi quel sistema è crollato…

Questo sistema è crollato e da qui abbiamo avuto il succedersi dei Governi tecnici. La forte personalizzazione della leadership ha indebolito, specialmente nel centro-destra, il rinnovamento qualitativo della classe dirigente che, di conseguenza, si è allontanata sempre, in termini di credibilità, da un popolo che si è disaffezionato alla politica. Questo ha favorito il populismo (M5S) e il sovranismo (Lega). Oggi, gli elettori potrebbero essere maggiormente protagonisti grazie al sistema proporzionale con voto di preferenza che permette di scegliere la classe politica.

Guido Bertolaso prima, quindi Arcuri, infine Figliuolo: le strutture commissariali non rischiano di farci vivere nell’illusione che le emergenze possano essere demandate a uomini della Provvidenza, dai quali ci aspettiamo miracoli?

Intanto, mi verrebbe da dire che siamo fortunati ad avere questi uomini, vedendo quelli che sono stati i gravissimi effetti della prima ondata del virus in Italia; questi uomini rappresentano riserve importanti dello Stato. Queste figure emergono proprio perché manca la disciplina dello Stato di eccezione. Noi dobbiamo inserire questo nella nostra Costituzione. Possiamo ispirarci ai modelli inglese, francese o tedesco (dove ci sono poteri eccezionali condivisi tra Presidente e Parlamento). In Italia abbiamo il decreto legge, che è uno strumento legislativo abusato, la dichiarazione di guerra, che però si applica in caso di conflitto verso l’esterno. Abbiamo anche la legge sulla protezione civile, che però non riconosce grandi poteri all’Esecutivo. In Italia, il Premier dovrebbe diventare una specie di “Sindaco di Italia” al fine di gestire le emergenze in modo efficace ed efficiente.

In Francia l’articolo 16 dà poteri speciali al presidente della Repubblica e la storia del Paese insegna che una volta ‘attivati’, passa sempre più tempo del previsto prima che vengano disattivati. Anche in Italia si corre questo rischio, con le strutture commissariali?

L’articolo 16 in Francia fu applicato dal Presidente De Gaulle per far fronte al tentativo di colpo di stato intervenuto ad Algeri dal 21 aprile 1961, quando alcuni generali francesi cessarono di ubbidire alle istruzioni del governo. Non mi risultano ad oggi altri casi. Maggiore applicazione ha trovato l’état d’urgence, che dispiega i suoi effetti in dodici giorni, dopo i quali è possibile prorogarlo solo attraverso una legge con la quale il Parlamento si riappropria delle sue ordinarie prerogative. Questa disciplina è stata più volte riformata e integrata in Francia, nel segno di un forte bilanciamento tra il rafforzamento dei poteri dell’Esecutivo e un più incisivo ruolo del Parlamento.

Nel libro paragona il modo in cui diversi Paesi europei hanno gestito l’emergenza Covid: che cosa si può dedurre da questa comparazione?

In Italia ci sono state delle forzature, ma si è rimasti nel solco della legalità costituzionale. ciò è stato dovuto al fatto che non esiste una compiuta disciplina dello Stato di eccezione. L’ideale sarebbe avere tale disciplina a livello costituzionale, come in Germania. Quando un sistema contiene in sé la regola dello stato di eccezione sa che esiste quella possibilità e per evitare che si realizzi, perché stresserebbe il sistema, diventa in automatico più efficiente. Un esempio: se lo stato di eccezione prevede che il Presidente del Consiglio possa sostituirsi ad un Presidente di Regione per determinate materie, sarà interesse di quest’ultimo allinearsi con quanto stabilito dal Governo centrale in modo tale da non essere sostituito nel suo ruolo.

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