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Di Maio e Salvini tra lettere, scintille e vino

I Graffi di Damato sulla tensione crescente nella maggioranza di governo gialloverde e le rivendicazioni del vice premier Luigi Di Maio

Il vice presidente grillino del Consiglio Luigi Di Maio sembra essersi finalmente accorto, in una lettera inviata al Corriere della Sera, che gli sviluppi del dibattito politico, cui pure ha contribuito con una certa abbondanza, “hanno lasciato trapelare una tensione all’interno del governo”.

Ma, anziché buttare acqua sul fuoco, egli ha versato benzina attribuendosi come “maggiore azionista dell’esecutivo” il merito delle più importanti misure adottate, tutte targate cinque stelle, col “supporto importante”, bontà sua, della Lega del suo omologo Matteo Salvini.

LA LETTERA DI LUIGI DI MAIO

Visto che si trovava, Di Maio avrebbe potuto vantarsi del supporto ugualmente importante della sua parte politica alle misure del governo e della maggioranza targate Lega, come quelle per la pensione anticipata, per la sicurezza e la legittima difesa, ma ha omesso di farlo. Non credo, francamente, per dimenticanza ma per vera o presunta convenienza politica, coerentemente con una campagna elettorale nella quale i due partiti di governo sono impegnati più a scontrarsi fra di loro che, insieme, a contrastare le opposizioni di sinistra, di destra e di centro, per quanto malmesso sia questo fantomatico o striminzito centro. Cui proprio sul Corriere della Sera il buon Angelo Panebianco ha dedicato un editoriale a dir poco sconsolato, considerando il bisogno che se ne avrebbe in un sistema elettorale tornato sostanzialmente proporzionale.

Nella sua lettera Di Maio ha orgogliosamente rivendicato di avere -nonostante gli scontri continui col ministro dell’Economia Giovanni Tria e le critiche ormai abitualmente provenienti al governo dalla Confindustria, per non parlare delle agenzie di rating e di tutti gli organismi pubblici internazionali di analisi e cooperazione- “le opportune credenziali per rassicurare gli italiani, i mercati finanziari e chi ci osserva con attenzione”. Beato ottimismo o ingenuità, verrebbe voglia di dire anche a proposito dell’auspicio infine espresso, dopo punzecchiature alla Lega per la troppa fretta che avrebbe a reclamare riduzioni fiscali che rischierebbero di favorire i soliti, immancabili “ricchi”, per “una sana e leale competizione fra i due contraenti del contratto” di governo  nel residuo di questa interminabile campagna per le elezioni europee, regionali ed amministrative di fine maggio.

LA RISPOSTA DI SALVINI

Salvini non ha scritto lettere ma ha parlato. E, fra un sorso e l’altro di vino alla fiera di Verona, dove non è riuscito a incrociare il pur presente presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ha perfidamente ricordato che “chi è indietro attacca per recuperare voti”. Ogni riferimento alle perdite grilline e ai guadagni leghisti in tutte le elezioni succedute a quelle politiche dell’anno scorso non era naturalmente casuale.

Per quanto l’abbia letta e pure riletta, non ho trovato nella lettera di Di Maio al Corriere una conferma della “svolta” attribuita al movimento grillino dalla Stampa nel titolo di apertura: “in Europa aperti al dialogo con i popolari”. Vi ho trovato solo il rinnovo degli attacchi a Salvini per i rapporti privilegiati che continua a perseguire, appunto in Europa, con i paesi più distanti dagli interessi italiani, per esempio indisponibili ad una distribuzione del fenomeno migratorio.

Il “retroscena” su cui il quotidiano di Torino ha impostato la sua clamorosa apertura, firmato da Ilario Lombardo, solitamente bene informato -va detto- delle vicende grilline, si basa sulla “stima” recentemente espressa da Di Maio nei riguardi della cancelliera tedesca Angela Merkel e sulla sconfessione dei gilet gialli francesi, cui lo stesso Di Maio aveva imprudentemente fatto le feste in una trasferta col suo amico Alessandro Di Battista, ora apprendista falegname nel Viterbese ma sempre pronto -credo- a rispendersi per il suo movimento.

APERTURA PENTASTELLATA AL PARTITO POPOLARE?

Se davvero esistesse l’ambizione di aprire al Partito Popolare, come il giornalista della Stampa sospetta spingendosi a immaginare una disponibilità dell’altra parte per alcune parole pronunciate dal presidente della Commissione Europea Juncker nella sua recente visita in Italia, sarebbe a dir poco divertente lo spettacolo di Di Maio, o di un suo delegato, alle prese a livello comunitario con quel Berlusconi, orgogliosamente partecipe della famiglia politica dei popolari, respinto dai grillini in Italia persino al telefono.  Nel rapporto col centrodestra avremmo nel Parlamento di Strasburgo, da parte dei grillini, una situazione rovesciata rispetto a Montecitorio e a Palazzo Madama.

 

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