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Di Maio fra grillismo e trumpismo

Di Maio

Piccoli Trump crescono anche sotto le stelle senza strisce

Col permesso della buonanima addirittura di Virgilio – che nelle Georgiche paragonava il lavorìo delle api e dei Ciclopi, “si parva licet componere magnis” – lasciatemi abbinare il Luigi Di Maio rinfrancato in Italia dall’esito dei ballottaggi comunali, a cominciare dalla  sua Pomigliano d’Arco con l’elezione del proprio candidato a sindaco appoggiato dal Pd locale, al presidente americano Donald Trump. Che, a leggere il buon Federico Rampini su Repubblica, si sente “rinato” nella campagna elettorale per la Casa Bianca dal contagio virale subìto e al tempo stesso sfidato. In verità, i sondaggi danno ancora in testa lo sfidante democratico Joe Biden. Ma i sondaggi, si sa, fanno a Trump i baffi che non ha.

Una certa sintonia, sotto sotto, tra il “piccolo” pentastellato Di Maio e il “grande” a stelle e strisce Trump, per dimensioni fisiche proprie e dei Paesi di appartenenza, è sfuggita al nostro stesso ministro degli Esteri nel passaggio conclusivo di una sua recente intervista alla Stampa inneggiante al presunto successo nel ballottaggi municipali di domenica e lunedì scorsi, secondo lui compensativi del fiasco grillino, l’ennesimo, nelle elezioni regionali del 20 e 21 settembre.

Ministro, Trump o Biden?, gli ha chiesto l’intervistatore. E lui: “Gli Stati Uniti innanzitutto. Poi per esperienza personale posso dirle che con l’amministrazione Trump si lavora molto bene e con Mike Pompeo”, il Segretario di Stato americano venuto recentemente a Roma e accolto anche alla Farnesina, “si è instaurato un legame di amicizia”.

Pensate un po’ come sarebbe uscito meglio dalla risposta in veste di pur sempre ministro degli Esteri della Repubblica d’Italia se Di Maio si fosse fermato agli iniziali “Stati Uniti innanzitutto”, risparmiandosi il resto. Che espone non solo lui personalmente ma l’intero governo di cui fa parte al rischio di dovere o potere avere a che fare fra qualche mese con l’ex vice presidente di Obama alla Casa Bianca. Ma così vanno le cose anche nella nostra diplomazia sotto le… cinque stelle italiane, immagino con quali riflessioni e grattamenti di viso e di capelli di Sergio Mattarella al Quirinale. Ormai Di Maio contende a Conte, pur mandato e poi inchiodato a Palazzo Chigi dal suo movimento, anche la cordialità e i sottintesi di quel “Giuseppi” lanciato l’anno scorso come un salvagente dalla Casa Bianca al presidente del Consiglio italiano che rischiava di essere travolto dalla crisi di governo aperta da Matteo Salvini.

Non so se Di Maio sia astemio o no, pur se in qualche foto l’ho visto con amici a tavola tra bicchieri e bottiglie anche di vino. Ma temo che un po’ di ebbrezza gliel’abbiano procurata i ballottaggi di cui si è  inorgoglito se a “quella manciata di piccoli Comuni” impietosamente ricordatagli dall’intervistatore egli ha risposto: “Mi basta che in tutti i Comuni dove ci siamo presentati in coalizione abbiamo vinto: da Pomigliano d’Arco a Matera, passando per Giugliano e Caivano”, dove – si è vantato – “sono andato a sostenere i nostri candidati perché sono persone in carne ed ossa, pulite, con la schiena dritta, con dei valori, a dimostrazione del fatto che il movimento 5 Stelle non rinuncia affatto ai suoi”.

Peccato, per il nostro ministro degli Esteri alle prese con l’atlante italiano fra la Basilicata e la Campania, che quei Comuni conquistati dai suoi uomini “in carne e ossa”, non fantasmi, abbiano una popolazione complessiva di soli 261 mila abitanti su più di 60 milioni di italiani.

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