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Draghi analizzato dai giornali

Draghi

Il governo Draghi finalmente è fatto. E pazienza per chi è rimasto deluso. I Graffi di Damato

“Tutto qui?”, si sono chiesti al Fatto Quotidiano di fronte alla lista dei ministri del governo di Mario Draghi facendone un titolo in prima pagina che equivale naturalmente ad una bocciatura. Sì, tutto qui, cari signori del Fatto, che avevate puntato sin dai primi tuoni della crisi su un modesto rimpasto del secondo governo di Giuseppe Conte, e infine su un terzo governo Conte in cui le due ministre renziane che avevano osato dimettersi dal precedente fossero sostituite da due transfughi o transfughe dell’opposizione in rappresentanza dei mitici “volenterosi”. Che il presidente dimissionario del Consiglio si era proposto di arruolare nella maggioranza per “rompere le reni” a Matteo Renzi, come lo sventurato Benito Mussolini si propose di fare con la Grecia.

Al posto di quello striminzito terzo governo Conte, che avrebbe dovuto continuare a barcamenarsi al Senato con numeri ballerini, e rimanere appeso alle bizze e alle risse interne del MoVimento 5 Stelle, è nato dalla crisi – credo – più lunga e tortuosa della storia della Repubblica, più ancora di quella dell’estate del 1964, quando l’allora vice presidente del Consiglio Pietro Nenni annotò sui suoi diari “rumori di sciabole”, un governo di ampia maggioranza e sostanziale unità nazionale. Dalla quale si è autoesclusa solo Giorgia Meloni con i suoi “Fratelli d’Italia”. E’ nato grazie alla lungimiranza del capo dello Stato Sergio Mattarella e del presidente del Consiglio Mario Draghi. Che solo Conte aveva scambiato e rappresentato al pubblico come un uomo “stanco” degli otto anni trascorsi alla presidenza della Banca Centrale Europea, e magari ulteriormente sfinito dall’incarico nella Pontificia Accademia delle Scienze Sociali datogli da Papa Francesco.

Marzio Breda, il quirinalista del Corriere della Sera, ha raccontato che, accomiatandolo dopo l’udienza di chiusura della crisi, Mattarella ha fatto gli auguri a Draghi scusandosi per “l’impegno molto gravoso” chiestogli con l’incarico e la nomina a presidente del Consiglio. E ciò, ricordiamolo, nel pieno di tre emergenze -sanitaria, sociale ed economica- che non potevano certo essere gestite da un governo paralizzato come si era ridotto il secondo di Conte, o da una lunga e rischiosa campagna elettorale in tempi di pandemia. “Grazie, di auguri ho bisogno”, ha risposto Draghi. “Crepi il lupo”, ha poi detto lo stesso Draghi ai fotografi che, sotto la pioggia, gli avevano gridato: “In bocca al lupo, presidente”. Per fortuna al Fatto Quotidiano non li hanno subissati di insulti per il loro presunto “lecchismo”. Né avevano più il tempo di inchiodarli a qualche corsivo.

Può darsi, per carità, che Tullio Altan su Repubblica abbia esagerato nel mettere ai piedi di Draghi gli scii, peraltro in questi giorni di Olimpiadi invernali a Cortina d’Ampezzo, e a immaginarlo tutto in discesa, sia pure con i brividi. Sulla stessa Repubblica, d’altronde, pur con spirito opposto allo stupore critico del Fatto Quotidiano, di equilibrio e non di dileggio, Stefano Folli ha dedotto dalla lista dei ministri mista di tecnici e politici, ma di prevalenza politici sul piano numerico, che quello formato da Draghi “non è un governo esplosivo e rivoluzionario. Non è un governo che abbaglia. O che soddisfa – ha scritto sempre Folli – tutte le attese, davvero troppe, che si erano create” col “desiderio diffuso di assistere a un totale rivolgimento di persone e di attitudini, come se stessimo per entrare in una nuova era”. Ma qualcosa, via, è cambiato. E davvero.

 

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