Da autostrade a dehors, da pubblicità indesiderate a più libertà per assicurati, i punti principali…
Le stilettate di Draghi
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Il laconico, secco rifiuto opposto da Mario Draghi a chi gli chiedeva se fosse disponibile ad un secondo mandato a Palazzo Chigi ha fatto sognare quanti sono davvero contrari: a sinistra come il partito di Giuseppe Conte nella sua nuova veste di Masaniello, e il giornale che più ne riflette umori o quant’altro, cioè Il Fatto Quotidiano, e a destra i sostenitori di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini. Che si ritrovano nelle impostazioni, cronache, allusioni di Libero e della Verità diretti, rispettivamente, da Alessandro Sallusti e da Maurizio Belpietro.
“Ma niente bis”, ha strillato Il Fatto di Marco Travaglio perdonando a Draghi con quel “ma” la colpa di avere partecipato a suo modo alla campagna elettorale con allusioni a Conte quando ha denunciato la contraddizione fra il compiacimento della controffensiva degli ucraini aggrediti dalla Russia e l’opposizione ad altri aiuti militari a Kiev. Come se fosse stato e fosse ancora possibile agli ucraini difendersi “a mani nude”, ha osservato il presidente del Consiglio.
Ci sono state allusioni polemiche di Draghi anche a Giorgia Meloni, solidale con il presidente ungherese e filoputiniano Viktor Orban ormai in rotta di collisione con l’Unione Europea, e richiami espliciti a Salvini sulla delega fiscale. Ma al giornale di Travaglio della Meloni e di Salvini interessa poco o niente, magari condividendone sotto sotto le posizioni contestate invece dal presidente del Consiglio, almeno per la parte riconducibile -nel caso della Meloni- agli interessi di Putin nello scontro in corso, attraverso l’Ucraina, con l’Occidente.
Il no di Draghi ad un secondo mandato a Palazzo Chigi è piaciuto a Libero perché “disereda Calenda e Renzi”, che ne sostengono, sognano e quant’altro una conferma, immediata o meno, scommettendo su sorprese elettorali o post-elettorali a danno, rispettivamente, dei numeri e della compattezza del centrodestra. E ciò specie dopo l’avvertimento di Silvio Berlusconi agli alleati di non contare sulla partecipazione del suo partito al governo se non saranno sufficientemente europeisti e atlantisti.
“Un bel siluro al duo Renzi-Calenda”, si è compiaciuta la Verità di Belpietro, che peraltro ancora non ha perdonato a Renzi di avergli fatto perdere a suo tempo, quando era presidente del Consiglio, la direzione di Libero perché schieratosi contro la sua riforma costituzionale nella preparazione del referendum confermativo, che si risolse invece in una bocciatura.
Ma è sicuro che quel no ad un secondo mandato a Palazzo Chigi, in risposta ad una domanda specifica, sia stato il dato saliente della conferenza stampa tenuta da Draghi dopo il Consiglio dei Ministri per il nuovo decreto di aiuti a famiglie e imprese colpite dal “carovita”, come lo stesso Draghi ha voluto precisare andando oltre le bollette della luce e del gas? O non ha forse avuto ragione Calenda a dire che la risposta negativa del presidente del Consiglio era più dovuta che autentica, più d’ufficio che altro, visto anche -aggiungo io- l’uso impietoso che si fece, nella corsa di dicembre e gennaio scorsi al Quirinale, della trasparenza con la quale lo stesso Draghi si rese disponibile alla successione ad un Mattarella allora contrario ad una conferma?
Non mi sembrano domande peregrine, che si sono forse posti anche nella redazione di Repubblica, dove hanno preferito titolare in prima pagina non sul no a un secondo mandato ma su quei “pupazzi prezzolati da Mosca” denunciati da Draghi pur dopo l’assicurazione ricevuta personalmente dal Segretario di Stato americano agli esteri sull’assenza di partiti e leader italiani fra i destinatari dei 300 milioni di dollari spesi da Putin in otto anni per arruolare amici e sostenitori in una ventina di paesi. Pupazzi a volte neppure prezzolati, ha osservato sulla Stampa Mattia Feltri chiamando in causa Salvini e precisando di ritenere questa non un’attenuante ma una “terribile aggravante”.