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Ecco tutti i trambusti interni contro Zingaretti e Di Maio

Il problema resta sempre lo stesso: la resa dei conti col troppo temuto leader leghista, nella logica del “tutti tranne Salvini”, come ai loro tempi “tutti tranne Renzi” o “tutti tranne Berlusconi”. I Graffi di Damato

Al netto del suo aspetto metaforico, sarà fra Conte e Salvini “la resa dei conti” annunciata con la solita arguzia dal manifesto nel suo titolo di copertina giocando sul minuscolo del plurale e sul maiuscolo sottinteso dell’innominato e uscente presidente del Consiglio, cui ancora la Repubblica di carta non perdona il velleitario annuncio di un “bellissimo” 2019.

E’ scontato che sarà contro Salvini il discorso odierno al Senato dell’inquilino di Palazzo Chigi, come nel monologo televisivo e notturno dell’8 agosto nella sede del governo. Saranno attribuite tutte a lui le responsabilità della crisi virtualmente aperta da allora, con la riserva di riferire al Parlamento in tempi non immediati. Che sono stati poi definiti a Palazzo Madama da una maggioranza generalmente salutata, si vedrà se a torto a ragione, come anticipatrice di quella destinata a sostituire l’alleanza gialloverde.

Gli altri due personaggi messi, diciamo così, in bachceca sulla prima pagina di Repubblica con la pretesa di esporre i protagonisti di questo inedito passaggio politico – il capo formale del Movimento delle 5 Stelle Luigi Di Maio e il segretario del Pd Nicola Zingaretti – sono assai meno rilevanti di quanto non vorrebbe far credere il giornale fondato da Eugenio Scalfari.

In realtà, Di Maio è stato praticamente svuotato di funzioni e ruolo dal ritorno sulla scena, o retroscena, della politica di Beppe Grillo. Che è in grado di convocare col telefonino, o altra diavoleria elettronica, nella sua villa al mare anche la terza carica dello Stato, il presidente della Camera Roberto Fico, per dettare la linea rovesciandovi dentro tutti i suoi umori ora tornati antisalviniani, in linea d’altronde col rimprovero fatto direttamente l’anno scorso alla madre del leader leghista di averlo concepito rinunciando alla pillola.

Il povero Zingaretti, dal canto suo, orfano come il fratello Luca di quel grande e popolare giallista che era diventato Andrea Camilleri, vive da qualche giorno nell’angoscia di trovarsi non davanti ma al seguito di un predecessore ingombrante come Matteo Renzi.

Quest’ultimo, da ribaltonista come nessuno l’aveva mai immaginato o temuto, ha improvvisamente smesso di mangiare le riserve dei pop corn ordinati al momento della nascita della maggioranza gialloverde – da lui praticamente voluta o provocata l’anno scorso impedendo la trattativa di governo fra grillini e Pd predisposta come esploratore nella prima crisi della nuova legislatura dal neo-presidente della Camera a 5 stelle – ed ha aperto le porte agli ex nemici. I quali a loro volta, per quanto disinvolti nell’accesso ai “due forni” di andreottiana memoria, vivono in un crescente disagio questa nuova stagione offerta dall’”ebetino”, come il comico genovese chiamava Renzi quando l’ex sindaco di Firenze sembrava diventato a Palazzo Chigi il padrone d’Italia.

Il disagio di grillini e piddini, che muoiono dalla voglia di accordarsi per evitare le elezioni anticipate ma anche dalla paura di non liberarsi neppure così di Salvini, che potrebbe ricavarne vantaggi nelle elezioni locali in programma già dall’autunno prossimo, in quelle -sempre locali- della primavera successiva e nelle elezioni politiche forse più rinviate che evitate con una maggioranza giallorossa; il disagio, dicevo, di grillini e piddini è evidente dalla fretta e dalla forza verbale con cui entrambi hanno voluto smentire trattative già avviate dietro le quinte della sospensione della crisi imposta dalla sua calendarizzazione parlamentare post-ferragostana.

Con una recita degli inganni di certo non nuova nelle vicende politiche i due partiti e accessori del ribaltone che già occupa le prime pagine dei giornali con commenti, interviste, retroscena e altro, vorrebbero tentare l’avventura facendosi scudo delle riflessioni, delle valutazioni e delle proposte che potrebbe maturare, a crisi formalmente aperta e a consultazioni concluse al Quirinale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Di cui si accredita, anche se con minore vigore di qualche settimana fa, una certa diffidenza o ostilità allo scioglimento anticipato di Camere elette meno di un anno e mezzo fa.

L’anticamera del capo dello Stato, prima ancora di essere aperta alle delegazioni dei partiti che sfileranno al Quirinale, è da tempo affollata metaforicamente di consiglieri fuori ruolo, quali possono essere considerati gli opinionisti che discettano della crisi sui giornali. Uno dei più fantasiosi si è appena confermato sul suo Foglio, rinunciando al simpatico marchietto rosso dell’elefantino e firmandosi con tanto di nome e cognome, Giuliano Ferrara. Egli ha suggerito una versione minimale, e forse per questo ritenuta da lui più digeribile o presentabile, non di un governo ribaltonista di coalizione ma di “un monolcolore grillozzo”: di quelli che faceva ogni tanto la Dc quando era partito di maggioranza, com’è ancora nelle attuali Camera il movimento delle 5 stelle, senza contare il tracollo elettorale nelle europee del 26 maggio scorso.

Quanto dovrà o potrà durare questo “monocolore grillozzo”, sostenibile persino da quella che Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, nell’editoriale affiancato alla rappresentazione da far west della resa dei conti della crisi ha definito “l’agghiacciante guarnigione di ascari berlusconiani al seguito di Gianni Letta”, il buon Ferrara lo ha scritto con una chiarezza, franchezza e visceralità disarmanti: per il tempo, stretto o largo che sia, necessario a votare “appena il Truce”, cioè Salvini, “nei sondaggi va al 20 per cento”, dal 33 guadagnato nelle già ricordate elezioni europee e dal 38 attribuitogli recentemente in alcuni sondaggi. Il problema insomma resta sempre lo stesso: la resa dei conti col troppo temuto leader leghista, nella logica del “tutti tranne Salvini”, come ai loro tempi “tutti tranne Renzi” o “tutti tranne Berlusconi” o “tutti tranne Craxi”. Le brutte abitudini sono sempre state dure a morire, o facili a riprodursi.

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