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Effetto Rousseau per Salvini

Sulla piattaforma Rousseau dei grillini vince il buon senso del sì alla difesa di Salvini. I graffi di Damato

L’esito del referendum digitale svoltosi fra i grillini sul processo a Matteo Salvini, chiesto dal cosiddetto tribunale dei ministri di Catania per sequestro aggravato di persone, abuso d’ufficio e non so cos’altro ancora, può essere commentato come la realizzazione di un auspicio recentemente espresso con un richiamo manzoniano dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che, dolendosi come appunto Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi del buon senso costretto in certe occasioni a nascondersi sotto il senso comune, si augurò che presto potesse ristabilirsi la normalità nella politica e, più in generale, nella società civile italiana.

IL VOTO EMERSO DALLA PIATTAFORMA ROUSSEAU

Ecco, fra i grillini è prevalsa -e pure con una larga maggioranza, col quasi 59 per cento dei voti contro il 41- il buon senso del sì alla difesa di Matteo Salvini, e quindi del no al processo contro il ministro dell’Interno per una vicenda d’immigrazione da lui gestita conformemente al programma di governo, e all’esercizio quindi delle sue funzioni.  Ha perduto invece il senso comune, a lungo avvertito come tale nel movimento delle cinque stelle, di un sì dovuto a tutte le richieste della magistratura. E pazienza se ha votato solo un po’ più della metà -52.417persone- di quanti avrebbero potuto perché iscritti, o qualcosa del genere, alla cosiddetta piattaforma Rousseau di Davide Casaleggio. Anche sotto questo aspetto, vista l’affluenza ormai abituale degli elettori alle urne, il movimento grillino ha fatto un passo avanti sulla strada della normalità, e uno indietro rispetto all’anomalia. O alla “diversità” orgogliosamente rivendicata da Grillo.

LE BANDIERE NON PORTANO FORTUNA

La diversità, d’altronde, non ha mai portato grande fortuna a chi vi si è avvolto irrealisticamente, e presuntuosamente, come in una bandiera. Non portò fortuna neppure a Enrico Berlinguer negli anni Ottanta: gli ultimi della sua vita, segnati dallo scontro ossessivo con quell’alieno quale lui considerava, quanto meno, il leader socialista Bettino Craxi, liquidato più brutalmente come un “bandito” negli appunti poi pubblicati di Tonino Tatò, l’uomo di fiducia e portavoce del segretario del Pci.

LA SCONFITTA DEL FATTO QUOTIDIANO

Personalmente preferisco vedere nel risultato del referendum digitale a cinque stelle il segno di un’evoluzione, piuttosto che come la vittoria addirittura di Barabba evocata con rabbia e sarcasmo sulla prima pagina del Fatto QuotidianoChe è un po’ il grande sconfitto di questa consultazione on line, visto l’impegno messo nel raccomandare al suo pubblico l’autorizzazione al processo.

L’INCONSISTENZA DEL PROCESSO A SALVINI SECONDO DI PIETRO

Preferisco interpretare l’esito come una evoluzione anche rispetto alla grossolana liquidazione anticipata in una intervista al Foglio da Antonio Di Pietro. Che, prevedendo appunto l’attestazione del movimento grillino contro il processo a Salvini, considerato peraltro dallo stesso Di Pietro ingiustificato, la liquidò il 5 febbraio scorso come una scelta opportunistica.

“Questi -disse l’ex magistrato simbolo di Mani pulite parlando appunto dei grillini alle prese con la vicenda giudiziaria di Salvini- ingoiano qualunque cosa. Perseguono un unico scopo: restare incollati alla poltrona”. “Quando gli ricapita? Se perdono il seggio -continuò alludendo al rischio di una rottura con Salvini, di una crisi e di un ricorso alle elezioni anticipate- dai banchi del Parlamento passano a vendere gelati al banco di fronte a Montecitorio”.

MESCOLANDO GIUSTIZIA E POLITICA

È inutile. Con Di Pietro, Tonino per gli amici, non riesco proprio a riconoscermi, pur riconoscendogli -ripeto- il merito di avere riconosciuto la inconsistenza del processo tentato contro il ministro dell’Interno mescolando al solito la politica con la giustizia, come ai terribili tempi della sua esperienza di magistrato a Milano. O come, nelle ultime ore, ho avvertito con i brividi nella schiena apprendendo degli arresti domiciliari inflitti ai genitori di Matteo Renzi, per una vecchia storia di presunta bancarotta fraudolenta, mentre il figlio si ostina a rimanere sulla scena politica. E lo fa peraltro presentando un suo nuovo libro anziché partecipando alla corsa alla segreteria del suo partito, essendogli bastate e avanzate le due volte in cui vinse. O si illuse di avere vinto, visto il cosiddetto e micidiale fuoco amico che lo aspettava in entrambe le occasioni, pur se qualche volta favorito dai suoi errori.

 

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