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Elezioni del Parlamento: quando si votò (davvero) per la prima volta in Italia

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Cenni storici sulle elezioni del Parlamento 

Lo Statuto albertino, emanato da Carlo Alberto di Savoia-Carignano il 4 marzo 1848, modificò profondamente la forma di governo sino ad allora vigente nel Regno di Sardegna, prevedendo un sistema bicamerale fondato su:

1) una Camera elettiva, la Camera dei deputati (articoli 39 e successivi), composta di deputati scelti a suffragio ristretto dai collegi elettorali;
2) un Senato vitalizio di nomina regia, il Senato del Regno, composto da membri nominati a vita dal Re (articolo 33).

Lo Statuto e il Regio editto sulla legge elettorale 17 marzo 1848, n. 680, furono l’origine degli ordinamenti elettorali del Regno d’Italia.

Il diritto di voto era riconosciuto agli uomini di età superiore a 25 anni, alfabetizzati e in grado di pagare un certo tributo (“il censo”). Si derogava al requisito del censo per nove categorie di elettori (magistrati, impiegati civili a riposo dotati di una pensione superiore a 1.200 lire, professori delle università e delle scuole regie e provinciali, ufficiali, liberi professionisti, membri di accademie di scienze e delle camere di agricoltura), ammessi nelle liste elettorali sulla base di un criterio di capacità intellettuale.

Per gli elettori residenti in Sardegna e per alcune altre categorie (artigiani, industriali, commercianti, ecc.) il requisito del censo era sostituito da forme di accertamento induttivo della ricchezza, basati sul valore locativo dei beni immobili da essi posseduti.

Si svolsero le prime elezioni della Camera dei deputati del Regno d’Italia.

Nel 1848 il territorio del Regno di Sardegna venne ripartito dapprima in 204 collegi uninominali, successivamente in 222, in ognuno dei quali era eletto un deputato col criterio della maggioranza assoluta al primo scrutinio e della maggioranza relativa al ballottaggio fra i due candidati che avevano ottenuto il maggior numero di voti.

Al primo scrutino si richiedeva il quorum di un terzo degli elettori e di oltre la metà dei votanti.

Il sistema applicato fu il maggioritario nominale a doppio turno.

Con la legge 20 novembre 1859, n. 3778, che riformò la legge elettorale 17 marzo 1848, n. 680, il numero dei collegi uninominali veniva portato a 387, per effetto dell’annessione di nuove province, e si stabiliva che per l’elezione dei candidati deputati al primo scrutinio era necessario raccogliere un numero di voti maggiore del terzo degli elettori del collegio (quorum degli elettori) e maggiore della metà dei suffragi dati dagli elettori intervenuti (quorum dei votanti).

La legge restò in vigore sino alla riforma approvata con il Regio Decreto n. 999 del 24 settembre 1882, testo unico della legge elettorale politica, che adottò lo scrutinio di lista.

I collegi uninominali esistenti vennero raggruppati in piccoli collegi plurinominali, nei quali il numero dei seggi assegnato variava da 2 a 5. Gli elettori dei collegi sino a 4 seggi avevano facoltà di scrivere nella scheda tanti nomi quanti erano i deputati da eleggere (lista maggioritaria); nei collegi con 5 seggi gli elettori non potevano scrivere più di quattro nomi (voto limitato).

Suffragio universale maschile (Legge 30 giugno 1912, n. 666)

L’elettorato attivo fu esteso a tutti i cittadini uomini di età superiore ai 30 anni senza alcun requisito di censo né di istruzione, restando ferme per i maggiorenni di età inferiore ai 30 anni le condizioni di censo o di prestazione del servizio militare o il possesso di titoli di studio già richiesti in precedenza.

Successivamente, sul piano del diritto all’elettorato attivo, il limite di età previsto dalla previgente legislazione fu abbassato a 21 anni, mentre fu mantenuto il requisito dell’alfabetismo (legge 16 dicembre 1918, n. 1985); il criterio del censo non costituì più il titolo principale per l’elettorato attivo, perché questo fu concesso, indipendentemente dal censo, a tutti gli alfabeti che avessero superato le prove del corso elementare obbligatorio (o equivalenti), o fossero in possesso del titolo di studio superiore, agli impiegati pubblici (tranne gli uscieri e gli operai), a coloro che avessero tenuto almeno per un anno l’ufficio di consigliere comunale o provinciale, di giudice conciliatore, di presidente o direttore di società commerciali, agli ufficiali e sottufficiali in servizio o in congedo.

Si susseguirono negli anni diverse modifiche normative alla legge elettorale (sulla disciplina delle incompatibilità dei deputati, sulle norme relative all’iscrizione e alla tenuta delle liste elettorali, sull’aumento del numero dei collegi, ecc.) fino alla soppressione della Camera dei deputati con la legge 19 gennaio 1939, n. 129, sostituita dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni composta di Consiglieri Nazionali, non di origine elettiva. Nel periodo della luogotenenza del regno sono stati adottati il D.L.Lt. 23/1945 ed il D.L.Lt. 74/1946.

Suffragio femminile (Decreto legislativo luogotenenziale 1 febbraio 1945, n. 23)

La norma estendeva il diritto di voto alle donne (ma non l’eleggibilità) che avessero almeno 21 anni (articolo 1), ordinava la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili (articolo 2) ed escludeva le prostitute che esercitavano “il meretricio al di fuori di luoghi autorizzati” (articolo 3, abrogato successivamente nel 1947).

L’eleggibilità delle donne veniva sancita con l’articolo 7 del Decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74, che recitava “Sono eleggibili all’Assemblea Costituente i cittadini e le cittadine italiane che, al giorno delle elezioni, abbiano compiuto il 25° anno di età”.

Con il decreto legislativo presidenziale 24 giugno 1946, n. 48, pochi giorni dopo il referendum del 2 giugno, che aveva trasformato l’Italia in Repubblica, ponendo fine alla monarchia sabauda, ed eletto l’Assemblea Costituente incaricata di redigere la nuova Costituzione, fu disposta la cessazione delle funzioni del Senato vitalizio a partire dal giorno successivo, poi soppresso con la legge costituzionale 3 novembre 1947, n. 3.

Con il decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74, fu introdotta la legge elettorale proporzionale per le elezioni dei deputati dell’Assemblea Costituente.

Il territorio della Nazione venne ripartito in 32 collegi plurinominali formati da 2 o più province, quasi tutti entro i limiti della regione (ad eccezione della Valle d’Aosta costituita in unico collegio, regolata da norme speciali), ai quali fu attribuito un numero di seggi variabile a seconda della popolazione.

I deputati da eleggere erano 573 suddivisi in collegi, in ognuno dei quali era compreso un minimo di 7 deputati da eleggere, secondo le circoscrizioni stabilite nella tabella A, allegata al decreto citato.

Il complesso delle circoscrizioni elettorali formava il Collegio unico nazionale, ai soli fini della utilizzazione dei voti residuali.

Le norme per l’elezione della Camera dei deputati vennero emanate con la legge 20 gennaio 1948, n. 6, la quale si riferì al decreto legislativo luogotenenziale n. 74/1946, e quelle per il Senato della Repubblica con la legge 6 febbraio 1948, n. 29.

 

Estratto dal Dossier sulle elezioni del Ministero dell’Interno

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