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Fatti, baruffe e vignette nei palazzi della politica

Provvedimenti

I graffi di Damato

Non è la prima volta, e non sarà neppure l’ultima, che di una rassegna dei giornali mi aiutino a capire ciò che è accaduto nelle ultime 24 ore più le vignette che gli articoli. Onore a chi le fa. Ma anche chi nelle redazioni è magari tentato di dissentirne, ma le lascia ugualmente in pagina per semplici, banali ragioni di tempo, non sapendo come rimpiazzarle all’ultimo momento, quando di solito esse arrivano sul tavolo di chi deve decidere.

PIÙ VIGNETTE CHE ARTICOLI

Vauro Senesi è riuscito sul Fatto Quotidiano a rappresentare come meglio non si poteva la notizia rimbalzata per tutta la giornata sulle misteriose ragioni per le quali il presidente del Consiglio, peraltro in partenza per Palermo alle prese con un’altra grana come quella della Libia, non riusciva a riunire attorno allo stesso tavolo i due vice e altri interessati alla famosa lettera di risposta ai commissari europei. Che l’attendono per trasformare il loro dubbi sui conti del bilancio italiano del 2019 in una procedura d’infrazione.

Senesi non ha avuto bisogno di telefonare a nessuno, né di consultare carte e cartine, per attribuire a Luigi Di Maio e a Matteo Salvini parole di sfide e di schermo da affidare alla penna di un Conte che sembrava un redivivo Totò, con tutti quei punti e punti e virgola con cui separare invettive e quant’altro. Bravissimo.

Lo stesso ha fatto sul Secolo XIX Stefano Rolli immaginando i due vice presidenti del Consiglio ignari di dove fosse il loro presidente, occultatosi fra di loro con un berretto che poteva però farlo somigliare al ministro ormai più imbarazzato e imbarazzante del governo gialloverde per le tante parti in commedia, o in tragedia, secondo gusti e circostanze, impostegli dalla contrarietà del presidente della Repubblica all’esplosione di una crisi in questi frangenti. Parlo naturalmente del Ministro, anzi superministro dell’Economia Giovanni Tria.

Felicissima è stata anche la traduzione nella vignetta di Nico Pillinini, sulla prima pagina della Gazzetta del Mezzogiorno, degli insulti e minacce grilline a giornali e dintorni non allineati agli umori pentastellati, e della difesa della libertà di stampa assunta dal capo dello Stato alla prima occasione offertagli dalla sua agenda di incontri, fra un viaggio e l’altro. Il problema dei grillini, in effetti, come ha rappresentato Pillinini con quella trasposizione di targhe, è di passare dall’Ordine dei Giornalisti all’Ordine ai Giornalisti, molti dei quali purtroppo ben disposti a eseguirli, magari per partecipare alle lotterie dei posti, o più banalmente a quella degli ospiti e degli indici di ascolto delle loro trasmissioni.

Per una volta mi posso riconoscere nell’urticante editoriale dedicato dal direttore Alessandro Sallusti, sul Giornale della famiglia Berlusconi, all’ospitalità offerta da Massimo Giletti, davanti alle telecamere de la 7, al vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio per la puntata settimanale di una trasmissione che ora ho capito meglio perché si chiama, in negativo, “Non è l’arena”. Appunto, non è, almeno per Di Maio.

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