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Finanziamento pubblico ai partiti, al capolinea l’era populista?

Finanziamento pubblico ai partiti: cosa non ha funzionato dalla legge Piccoli all’abolizione voluta dal Governo Letta

Reintrodurre il finanziamento pubblico dei partiti politici non è più un tabù. A rompere gli indugi e a superare, con un certo coraggio, gli steccati ideologici intorno a questo argomento è stata la parlamentare del PD Chiara Gribaudo che, in un’intervista a “La Stampa” ha detto: “Serve una riforma attuativa dell’articolo 49 della Costituzione, riorganizzando le forme partitiche e tornando al finanziamento pubblico. Da troppi anni assistiamo a un dissolversi della politica organizzata, con il risultato di far vincere i personaggi e i personalismi”.

Il riferimento, nemmeno troppo velato, è ai pasticci nella gestione della politica locale in Puglia e in Piemonte che hanno messo in crisi la riorganizzazione del centro sinistra nel Campo Largo. Il ministro degli esteri Antonio Tajani ha fatto da sponda alla deputata del PD. “La democrazia ha dei costi e i partiti sono il collegamento tra cittadini e istituzioni. L’importante è che siano guidati in maniera onesta e trasparente. Io non sono in principio contrario al finanziamento pubblico. Discutiamone”.

TRASPARENZA E FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI: I DISEGNI DI LEGGE 207 E 549

In realtà l’argomento è già in discussione in Parlamento. L’articolo 49 della Costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. In Senato sono in discussione i disegni di legge n. 207 e n. 549 in materia di statuti, trasparenza e finanziamento dei partiti politici, nonché delega al Governo per l’adozione di un testo unico.

Intervenendo in audizione in I Commissione il prof. Azzariti, ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, ha detto: “È evidente che la questione del finanziamento pubblico è un enorme problema politico, per quanto mi riguarda posso solo ricordare che dal punto di vista costituzionale è una opzione possibile1, se non una garanzia, affinché i partiti possano tornare a rappresentare uno strumento per i cittadini per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Dunque, il tema del finanziamento ai partiti è tornato, dopo dieci anni, all’ordine del giorno della cronaca politica.

L’ABOLIZIONE DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI: LA LEGGE VOLUTA PER ARGINARE IL M5S

Ad abolire il finanziamento pubblico ai partiti ci pensò, dieci anni fa, la legge 13/2014, varata dal governo Letta nel pieno dell’ascesa del furore grillino che dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti ne ha fatto una battaglia identitaria. Prima del M5S, però, c’era stato il referendum dei Radicali del 1993 che, sull’onda emotiva di Tangentopoli, portò gli italiani a esprimersi, con i 90,3% dei voti a favore, per l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti. Il referendum non ebbe piena attuazione, infatti il finanziamento cambiò nome e divenne un “contributo alle spese elettorali”, intaccando, in questo modo, il rapporto di fiducia, già compromesso, tra base elettorale e classe politica. Un’autostrada di sospetto cavalcata dai movimenti populisti.

LA LEGGE PICCOLI INTRODOTTA PER CONTRASTARE GLI INTERESSI PRIVATI IN POLITICA

Fa riflettere il fatto che la prima norma varata per offrire un sostegno finanziario ai partiti, la legge Piccoli del 1974, fu varata proprio dopo uno scandalo per finanziamenti privati che andavano a incidere sulle decisioni normative. Lo “scandalo petroli” vide la magistratura genovese indagare i segretari amministrativi DC, PSI, PSDI, PRI (i partiti di governo) per aver ricevuto fondi dall’Enel e dalle compagnie dell’Unione Petrolifera in cambio del perseguimento di una politica energetica contraria alle centrali nucleari. La legge Piccoli intervenne a disciplinare il finanziamento pubblico e privato ai partiti e a introdurre obblighi di rendicontazione verso lo Stato. Lo “scandalo Petroli” terminò, anni dopo, in un nulla di fatto: prescrizione per Giulio Andreotti e Mario Ferrari Aggradi, archiviazione per Giacinto Bosco (DC) e Luigi Preti (PSDI) e assoluzione per Mauro Ferri (PSDI) e Athos Valsecchi (DC).

QUEL CHE RESTA DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI: IL 2 PER MILLE, PD CAMPIONE DI PREFERENZE

Dal 2014, quindi, l’unica forma di finanziamento pubblico per i partiti è affidata ai cittadini che, quando compilano la dichiarazione dei redditi, possono scegliere di destinare il 2×1000 alla formazione partitica preferita. Altre risorse pubbliche arrivano alle forze politiche attraverso i gruppi parlamentari, tali risorse, però, devono essere impiegate per le attività istituzionali del gruppo e non incanalate nelle iniziative politiche generali dei partiti. E poi ci sono le “erogazioni liberali”, cioè le donazioni private, detraibili fino a 30 mila euro ma che, comunque, non possono superare i 100 mila euro. Tra il 2015 e il 2023 è cresciuto, costantemente, il numero di contribuenti che ha deciso di finanziare la politica: nel 2023 ai partiti sono andati 23 milioni di euro dal 2×1000.

Il partito che ha usufruito della quota maggiore di finanziamenti è il Partito democratico (Pd), con più di 530mila scelte e 8,1 milioni di euro (33,74% del totale), a seguire Fratelli d’Italia (FdI) con 348mila contributi e 4,8 milioni di euro. Al terzo posto il Movimento 5 stelle (M5s) che nel 2023, per la prima volta nella sua storia, ha partecipato alla raccolta del 2×1000: è stato scelto da 174mila contribuenti e ha ricevuto 1,8 milioni di euro. Fuori dal podio la Lega con 130mila scelte e 1,5 milioni di euro.

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