La bufera sul Garante della privacy si è ormai trasformata in un caso politico che coinvolge buona parte dell’arco parlamentare. Di fronte alle richieste di dimissioni i consiglieri provano a blindarsi, ma Meloni, Schlein e Conte potrebbero trovare la quadra sul sistema per aggirare le norme e costringerli al passo indietro
Intorno al caso sul Garante della privacy potrebbe formarsi un inedito asse Meloni-Schlein: le due leader sono d’accordo sull’azzeramento del Collegio e sul lasciarsi alle spalle una brutta faccenda che direttamente o indirettamente tocca quasi tutte le principali forze politiche, inquinando l’immagine di entrambi i fronti, a poche settimane dal voto per le regionali.
L’ARROCCO DEI CONSIGLIERI
I consiglieri Agostino Ghiglia, Pasquale Stanzione, Ginevra Cerrina Feroni e Guido Scorza sono infatti stati nominati durante l’ultimo governo Conte su proposta, rispettivamente, di FdI, PD, Lega e M5S.
Dal canto loro, i componenti dell’Autorità, dopo qualche iniziale tentennamento, hanno sollevato un muro contro le richieste di dimissioni sollevate a gran voce dall’opposizione, ma che trovano d’accordo anche importanti pezzi della maggioranza.
Il nodo risiede nell’impossibilità, per qualsiasi potere politico o istituzionale, di rimuovere i consiglieri, che possono lasciare il proprio incarico solo su base volontaria.
IL PIANO BIPARTISAN PER SPINGERE IL GARANTE ALLE DIMISSIONI
Per questo, su entrambi i fronti si studia il sistema per aggirare l’impedimento. Una soluzione al vaglio è quella contenuta nella proposta di legge depositata da Avs: dimezzare la durata del mandato da 7 a 5 anni, di modo che l’attuale composizione del Garante risulti già oltre i termini.
Naturalmente, le nuove norme avrebbero effetto solo dal quinquennio successivo, ma un voto del Parlamento in questo senso si tradurrebbe in una sostanziale sfiducia dell’attuale collegio, che a quel punto potrebbe essere costretto a mollare la presa.
UNA PATATA BOLLENTE PER TUTTI
Schlein, Conte, Meloni: tutti d’accordo sulla necessità di azzerare il Garante e voltare pagina. Ma l’apertura della premier è in linea con le dichiarazioni fatte finora, che rinviano la palla dell’Authority alle responsabilità del campo largo: “Sulla legge da cambiare possiamo discutere. Se volete rifacciamo la legge ma non l’ho fatta io manco quella”.
Del resto, se Ghiglia, il primo a essere travolto dalle inchieste di Report, è espressione di FdI, il presidente Stanzione, il più ostinato nel difendere la terzietà del Garante anche di fronte ai recenti sviluppi, è lì grazie a un accordo tra dem ed ex grillini.
IL CASO STANZIONE E IL PRECEDENTE NEL CONTE II
Come sottolinea Antonella Baccaro sul Corriere, il precedente trapela anche da un dettaglio nelle dichiarazioni di Giuseppe Conte sulla vicenda: “Chiediamo l’azzeramento del Garante della Privacy, che ha perso la necessaria credibilità e autorevolezza”. “Perso”, alludendo quindi a una fase in cui la sua fiducia verso il Garante era intatta.
E in effetti, anche Conte in passato ha beneficiato dei buoni uffici dell’Autorità.
Da premier fu lui a validare la proposta del Pd di nominare Stanzione presidente. Pochi mesi più tardi, nel 2021, questi fornì al leader 5S un assist impareggiabile, imponendo all’Associazione Rousseau di Davide Casaleggio la consegna dei dati personali sugli iscritti ai 5S, spianando la strada all’avvocato del popolo alla modifica dello Statuto e alla sua rielezione, altrimenti impossibile.

