Parte sabato la due giorni di Pontida con le iniziative dedicate ai giovani. Domenica l'evento…
Gioie e pene di Nicola Zingaretti
I Graffi di Damato sulle difficoltà del neo segretario del Pd Nicola Zingaretti
Non credo proprio che sarà il sudore abbondante, versato insediandosi alla segreteria del Pd col discorso seguito alla proclamazione nell’assemblea nazionale, a portare sfortuna a Nicola Zingaretti. Non lo credo neppure vedendo le foto, comparse sul Corriere della Sera, di alcuni leader sudati prima di alcune clamorose sconfitte: per esempio, il Richard Nixon della campagna elettorale perduta negli Stati Uniti contro John Fitzgerald Kennedy e il Bettino Craxi dell’ultimo congresso nazionale socialista vissuto come segretario, a Bari nel 1991. Mancava solo un anno all’arresto del suo compagno di partito Mario Chiesa, a Milano, e all’esplosione di Tangentopoli.
IL PROGETTO DI ZINGARETTI
Le difficoltà e i rischi di Nicola Zingaretti derivano semmai da quel suo progetto dichiarato di trasformare il Pd in qualcosa di “diverso” mescolando ricordi e figure come quelle di Antonio Gramsci, di Aldo Moro e di Greta, la ragazza diventata simbolo delle manifestazioni ambientaliste appena svoltesi con sintonia miracolosa in tutto il mondo. Ma il Pd nacque nel 2007, sotto la regìa e la guida di un uomo di grande fantasia e vocazione cinematografica come Water Veltroni, avendo come palla al piede proprio il progetto di assemblare ciò che non era e non è assemblabile. “Un amalgama mal riuscito”, lo definì poco dopo Massimo D’Alema. Che, in verità, avrebbe ripetuto dopo più di dieci anni la stessa cosa di “Liberi e uguali”, il movimento creato con Pier Luigi Bersani e gli allora presidenti del Senato e della Camera per uscire dalla gabbia che era diventata per lui il Pd guidato da Matteo Renzi.
Il fatto è che i partiti per nascere davvero e soprattutto poi per vivere debbono avere una loro omogeneità, pur nella diversità delle idee e nella proliferazione delle correnti. Se non c’è questa omogeneità, come non c’è tra le figure di Antonio Gramsci e di Aldo Moro, accomunate solo dalla ferocia dei loro avversari, anche il Pd di Zingaretti rischia la fine di quelli che l’hanno preceduto.
LE DIFFICOLTÀ E I RISCHI DI UN PD “NUOVO”
Le cose bisogna pensarle e dirle chiaramente, evitando possibilmente anche l’ironia, come quella sfuggita all’indubbiamente simpatico Paolo Gentiloni. Che ha festeggiato la sua elezione a presidente del Pd invitando i compagni di partito “al lavoro e alla lotta”. Che è un motto, come gli ha impietosamente ricordato Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera, abbastanza storico del Pci. Alla cui tradizione peraltro neppure appartiene il buon Gentiloni. Ma forse egli ha voluto con quelle parole sentirsi più di casa nell’assemblea che lo aveva eletto presidente. Ma è proprio in quell’aspirazione a sentirsi bene in quel tipo di casa che c’è il rischio che corre -ripeto- il Pd nuovo, diverso e quant’altro immaginato, annunciato, promesso da Zingaretti.
Peggio comunque del nuovo segretario, che ha sicuramente da lavorare e lottare per rianimare, a dir poco, un partito che nelle ultime settimane ha continuato a perdere regioni che amministrava, pur recuperando qualcosa sulle devastanti elezioni politiche dell’anno scorso; peggio di Zingaretti, dicevo, ha fatto Matteo Renzi disertando per imprecisati “motivi familiari” l’insediamento del nuovo segretario.
Si stenta francamente a capire la logica del “segnale di responsabilità” avvertito in quell’assenza da un renziano di ferro e di autorità come il capogruppo del Pd al Senato Andrea Marcucci. Il quale peraltro ha annunciato al plurale, quindi a nome di Renzi e dintorni, che “giudicheremo la segreteria dopo le elezioni europee e amministrative” di fine maggio.
Mi chiedo se non siano troppo pochi, o troppo interessatamente pochi, i due mesi e qualche giorno di tempo lasciati a Zingaretti per essere giudicato. O per farci capire se il fratello del commissario televisivo Montalbano è davvero scampato al lupo verso la cui bocca lo ha mandato Renzi in persona con un tweet augurante. Che per fortuna è stato preferito a quell’altro, rivelatosi così infelice, da lui inviato all’allora presidente del Consiglio Letta poco prima di liquidarne come fresco segretario del partito il governo: “Enrico, stai sereno”.