Tutto fermo. Sulle nomine della nuova Europa vincono i veti incrociati con il nostro premier che viene descritto in modo diverso dai giornali. Chi ne loda la fermezza e chi, invece, racconta del suo isolamento, mentre la sinistra oggi scende in piazza per la libertà ma non basta cantare “bella ciao” per vincere le destre.
E’ il solito film, quello dei “veti incrociati”, del “peso dei leader”, del “tocca a noi, fatevi da parte”. I giornali di oggi raccontano così lo stallo della cena informale di ieri a Bruxelles tra i capi di Stato e di governo dei 27 che dovevano mettere a punto un piano sulle nomine ai vertici dell’Unione. C’era da immaginarselo, quasi mai è buona la prima e la cronaca ci racconta di un vertice tutt’altro che amichevole.
MELONI ISOLATA O ABILE STRATEGA?
A far saltare il banco sarebbe stata l’uscita, racconta Claudio Tito su Repubblica, del premier polacco, Donald Tusk “negoziatore” per conto del Ppe. “Al vertice dei popolari dice a chiare lettere: «Non ci servono i voti della Meloni, la maggioranza è quella solita, composta da Ppe, Pse e Liberali». Uno schiaffo al governo italiano che sperava di fare asse con proprio con il partito di Tusk e Von der Leyen. Si è smascherato così l’inganno: Fratelli d’Italia non è determinante in Europa”.
Lo stato d’animo del premier viene descritto nel retroscena di Ilario Lombardo su La Stampa: “Per la prima volta Giorgia Meloni sente di nuovo addosso lo stigma di persona non grata. È una sensazione aspra e pungente che ha vissuto per anni, che ha fatto crescere una fame politica e alimentato il mito dell’underdog”. Sarà così? Se si lasciano i giornali del gruppo Gedi e si va su quelli del gruppo Caltagirone, a partire dal Messaggero la musica cambia. In questo caso è Meloni che “gela Ursula” che non vuole voti “preconfezionati” come raccontano anche i quotidiani del gruppo Angelucci con Il Giornale che titola “Meloni frena” e Libero si spinge anche più in là: “Per colpire Meloni boicottano l’Italia” sventolando il tema del complotto e dell’esclusione per il nostro Paese di “poltrone” chiave ai vertici dell’Unione.
ECCO COSA CI VUOLE PER FAR ELEGGERE URSULA
Ursula von der Leyen, per essere confermata presidente della Commissione europea, oltre a essere designata dai leader Ue ha bisogno di venire eletta dalla maggioranza assoluta del Parlamento europeo: 361 voti su 720 eurodeputati. Basteranno per il bis i voti di Ppe, socialisti e liberali? A ricordarci lo scacchiere ei voti è Francesca Basso sul Corriere della Sera: “Il Ppe è il primo gruppo al Parlamento con 190 seggi, seguito da S&D con 136, da Renew Europe con 80, dai conservatori dell’Ecr con 76, Identità e democrazia 58, i Verdi 52, la Sinistra 39. I non iscritti sono 45 e i non affiliati 44. I tre maggiori gruppi contano insieme 406 eurodeputati, quindi 45 in più rispetto al quorum richiesto.
Il Ppe ha detto che il punto di partenza dei negoziati sarà la piattaforma formata da Popolari, Socialisti e Liberali come nella precedente legislatura”. Allora potrebbero scendere in campo i Verdi per sostenere von der Leyen ma chiedono l’ingresso nella maggioranza. Ma poiché il voto è segreto, ci sono i franchi tiratori che possono mettere in pericolo il sostegno della «maggioranza Ursula». Un’alleanza che fa però storcere il naso ad alcune delegazioni del Ppe. Con il sostegno dei Verdi von der Leyen avrebbe 458 voti. Il peso dei franchi tiratori si aggira intorno al 10-15 per cento”.
Insomma la situazione non è semplice racconta Daniel Gros, direttore dell’Institute for European Policymaking all’Università Bocconi intervistato sempre dal quotidiano di via Solferino “Non c’è alternativa a Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue, ma molti dei deputati sono giovani e alla prima esperienza e tutto potrebbe accadere”.
CON BELLA CIAO NON SI VA MOLTO LONTANO
Se i giochi in Europa sono fermi e, molto probabilmente, lo saranno anche in attesa del voto di fine mese in Francia quello che colpisce è la sinistra italiana che oggi scende in piazza dopo il pestaggio a Montecitorio per manifestare a favore della libertà. Ma a far capire che non si va poi tanto lontano intonando “bella ciao” è il filosofo Massimo Cacciari in un’intervista a La Stampa. “Abbiamo l’opposizione in piazza contro un governo che, piaccia o no, non ha certo, a livello internazionale, i tratti del Rassemblement National. Meloni ha una posizione consolidata sul piano europeo e sta giocando una partita importante da protagonista, se andrà in porto la riconferma di Von der Leyen sarà anche grazie a lei. In Francia assistiamo a un richiamo contro il pericolo della destra di cui siamo stati testimoni più volte al secondo turno delle presidenziali, quella messa insieme emergenziale dei cocci della democrazia repubblicana al suono della Marsigliese avrà effetto, come ha già avuto effetto. In Italia, dove il campo largo sfida una premier in carica che non è Le Pen e che si è distinta in tutti i modi dal suo passato fino a guadagnare una credibilità internazionale, non funzionerà: pensare che qui da noi bastino l’antifascismo e Bella Ciao è patetico”.