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Giustizia, Draghi ha messo all’angolo Conte?

Conte M5S

I Graffi di Damato. Affondo di Draghi a Conte sulla riforma del processo penale

Se non “al muro”, come lo ha rappresentato Maurizio Belpietro sulla sua Verità con linguaggio da tempi di guerra, è finito in un angolo Giuseppe Conte con la decisione presa e personalmente motivata dal presidente del Consiglio Mario Draghi di “porre un punto fermo” sula riforma del processo penale. Esso consiste nella cosiddetta questione di fiducia “autorizzata” sugli emendamenti del governo scambiati dallo stesso Conte pochi giorni fa, in un incontro proprio con Draghi, per chissà quali premesse a “sacche di impunità”.

“Nessuno vuole sacche di impunità”, gli ha risposto adesso anche in pubblico Draghi in una conferenza stampa seguita ad una importante seduta del Consiglio dei Ministri. Nella quale i rappresentanti delle 5 Stelle si sono ritrovati d’accordo con Draghi e gli altri ministri, neppure loro intimiditi evidentemente dalle proteste levatesi dal sindacato delle toghe, da alcuni magistrati di prima pagina e dalla sesta commissione del Consiglio Superiore della Magistratura. Che ha predisposto un parere negativo sugli emendamenti del governo in vista di un plenum della prossima settimana, in coincidenza con i tempi supplementari che si è presi la Commissione Giustizia della Camera per fare approdare il provvedimento in aula venerdì prossimo.

Sette giorni dovranno bastare e avanzare per cercare un accordo su quelle che Draghi ha riduttivamente definito “migliorie tecniche”, rispettose dell’”impianto” già predisposto e comunque verificabili dal Consiglio dei Ministri in un’altra, apposita seduta perché il ricorso alla questione fiducia autorizzato ieri si riferisce agli emendamenti del governo già predisposti e depositati. Che furono approvati in Consiglio l’altra volta -ripeto- anche dai ministri pentastellati, tornati quindi ieri a condividerli, nonostante il dissenso espresso a nome del loro movimento da Conte nell’incontro con Draghi.

Ciò significa che, più che di governo, la vertenza è tutta interna al MoVimento 5 Stelle, il cui futuro o futuribile presidente non è quanto meno in linea con i ministri che pure dovrebbero rappresentarlo. Le sue credenziali, anche dopo la spigola consumata con Grillo a Marina di Bibbona, non sono insomma quelle enfaticamente e bellicosamente descritte così qualche giorno fa da Andrea Scanzi sul Fatto Quotidiano: “Conte dovrà sancire un netto cambio di passo: basta con questo M5S eunuco, impalpabile e sommamente citrullo (per non dire peggio). Conte non è tipo da spaccare tutto, ma quando vuole la voce sa alzarla eccome (altrimenti il Recovery Fund sarebbe ancora e soltanto una chimera). E’ tempo di alzare quella voce, sempre che Conte voglia essere il leader di una forza votabile e non di una salma politica. Draghi si arrabbierà? Pazienza: male che vada, i 5 Stelle usciranno dal governo. Possiamo garantire che la Terra resterebbe comunque in asse”.

Le cose chiaramente non stanno così. Il problema adesso è di vedere se sarà Conte a restare in asse dopo che Draghi ha ribadito la sua posizione continuando a contare sui ministri pentastellati. Costoro peraltro dovrebbero essere i primi a sentirsi offesi dall’immagine che ne ha dato oggi Il Fatto Quotidiano definendoli praticamente “ricattati” da Draghi e dalla ministra della Giustizia e “Salvamafia” Marta Cartabia: “la nota giurista (per mancanza di prove” prestata alla politica” e che “va immediatamente restituita, prima che faccia altri danni”, ha scritto o intimato nel suo editoriale Marco Travaglio.

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