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La giustizia secondo Draghi e Cartabia

Draghi Cartabia

I Graffi di Damato. Mario Draghi e Marta Cartabia solidali non soltanto sulle carceri

Il presidente del Consiglio Mario Draghi e la ministra della Giustizia Marta Cartabia sono andati insieme nel carcere di Santa Maria Capua Vetere – in missione e non “in gita” o “passerella”, come nei titoli sarcastici di Domani, il quotidiano di Carlo De Benedetti -per mandare al mondo politico e all’informazione un segnale che va ben oltre la deplorazione delle violenze consumate un anno fa in quel penitenziario e l’impegno di una riforma a tutela della detenzione nelle condizioni di sicurezza e di umanità prescritte dalla Costituzione. Draghi e Cartabia hanno voluto opporre l’immagine anche fisica di una piena solidarietà fra di loro nel momento in cui all’interno della maggioranza di governo si sono levate critiche e resistenze, ad opera dei grillini più vicini a Giuseppe Conte ma anche di una parte del Pd che continua a fare da sponda all’ex presidente del Consiglio, contro le modifiche pur predisposte all’unanimità dal Consiglio dei Ministri alla riforma del processo penale all’esame della Camera, con particolare riguardo alla prescrizione.

Draghi e Cartabia non intendono tornare indietro né assecondare manovre dilatorie, anche se il presidente pentastellato della commissione Giustizia di Montecitorio Mario Perantoni ha definito “poco realistica” la data del 23 luglio decisa dalla conferenza dei capigruppo per l’approdo in aula di quella riforma. Che peraltro Draghi ha inserito tra le più urgenti legate al piano della ripresa finanziato dall’Unione Europea, e intende perciò fare approvare rapidamente. Il presidente del Consiglio lo ha appena confermato anche al leader leghista Matteo Salvini, ricevuto a Palazzo Chigi dopo il segretario del Pd Enrico Letta e il vice presidente di Forza Italia Antonio Tajani.

Salvini si è affrettato ad annunciare, o confermare, all’uscita “totale condivisione” nei riguardi di Draghi e a dire che “chiunque si metterà contro le riforme, che sia Conte o Grillo o qualche corrente del Pd, avrà nella Lega un avversario”. Col ricorso a “qualche corrente del Pd” Salvini ha voluto, almeno per ora, lasciare fuori dalla polemica il segretario Enrico Letta, col quale invece lo scontro continua durissimo sul percorso accidentatissimo del disegno di legge Zan contro l’omotransfobia nell’aula del Senato, dove la discussione ha superato per un solo voto un altro scoglio procedurale. Di Letta il capo della Lega a proposito della riforma del processo penale ha voluto prendere evidentemente per buona il pieno apprezzamento espresso delle modifiche predisposte dal Consiglio dei Ministri.

Il giornale Repubblica ha immaginato, annunciato e quant’altro in prima pagina anche un incontro sulla riforma del processo penale fra Draghi e il predecessore Conte, che ha assunto fra i grillini, o condiviso con l’ex guardasigilli Alfonso Bonafede, la guida di un’azione di contrasto alla improcedibilità dei processi oltre i due o tre anni in appello, secondo i reati, e i 12 e 18 mesi in Cassazione. Ma di Conte continuano a rimanere incerte le credenziali, diciamo così, come interlocutore del presidente del Consiglio perché la sua elezione digitale a presidente del MoVimento 5 Stelle è ancora di là da venire. E la definizione della pace annunciata con Grillo è rimasta appesa alla definizione degli “ultimi dettagli” da parte diretta degli interessati. In nome e per conto di chi Conte, peraltro neppure parlamentare, possa parlare e trattare non si capisce quindi francamente bene, anzi per niente.

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