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Vi racconto le ambizioni della Meloni e i casini nel Pd

Ottimisti Su Meloni, Casini Pd

I graffi di Damato: “Decisamente meno ottimisti della Meloni sulla durata del suo governo sono sul fronte diviso delle opposizioni Matteo Renzi, che si aspetta cataclismi dalle elezioni europee dell’anno prossimo, e nel Pd la concorrente alla segreteria Elly Schlein”

Di ritorno dalla Libia, o da Tripolitalia, come ha scherzato ieri il manifesto e un pò meno Il Fatto Quotidiano oggi vedendo un “neocolonialismo” dietro l’ispirazione della presidente del Consiglio alla politica che faceva Enrico Mattei guidando l’Eni, Giorgia Meloni ha celebrato all’insegna dell’ottimismo i suoi primi cento giorni di governo, percorsi -ha osservato- col passo della maratona. Come si dice in questo tipo di feste, si è augurata cento di questi giorni. Che equivarrebbero per il suo governo alla durata di 10 mila giorni, contro i soli 1.825 che dura una pur intera legislatura.

  Non manca insomma l’ambizione alla giovane e prima donna premier in Italia, dopo una lunghissima sfilza di uomini che  in genere hanno dovuto accontentarsi di meno, anche rispondendo a nomi come quelli di Alcide De Gasperi, Aldo Moro, Amintore Fanfani, Emilio Colombo, Giulio Andreotti, Bettino Craxi, Francesco Cossiga, Arnaldo Forlani, Giovanni Spadolini, Carlo Azeglio Ciampi e, passando alle edizioni successive alla cosiddetta Prima Repubblica, Silvio Berlusconi, Romano Prodi, Massimo D’Alema, Mario Draghi. Dovrei aggiungere, lo so, anche Giuseppe Conte, per non spingermi fino ad Enrico Letta e Lamberto Dini, ma c’è qualcosa di istintivo che mi trattiene, considerando quei passaggi a Palazzo Chigi più casuali che altro.

Decisamente meno ottimisti della Meloni sulla durata del suo governo sono sul fronte diviso delle opposizioni Matteo Renzi, che si aspetta cataclismi dalle elezioni europee dell’anno prossimo, e nel Pd la concorrente alla segreteria Elly Schlein. Che più prudentemente di Renzi ha appena profetizzato che “il governo non durerà cinque anni”, aggiungendo che “in Parlamento abbiamo toccato con mano in questi mesi quanto sia fragile e divisa la maggioranza”. “Dunque cambiamo il Pd e andiamo a battere la destra”, ha concluso. E’ una parola, mi verrebbe da commentare.

Si sono messi in tre oggi sul Corriere della Sera -Milena Gabanelli, Simona Ravizza e Alessandro Riggio- a raccontare e spiegare, come sintetizza un richiamo in prima pagina, che al Nazareno sono sfilati “in 15 anni otto segretari e mai nessuno ha concluso il  suo mandato” in modo ordinario, essendosi il Pd “(auto) sbriciolato”. Michele Ainis su Repubblica, scrivendo più in generale dell’opposizione “afona, silente”, ha osservato non a torto che “il Pd è all’opposizione di se stesso”.

Basta vedere il casino -scusate la parolaccia- scoppiato con l’arrivo nel Pd, e a favore di Bonaccini segretario, dell’ex grillino e tante altre cose Dino Giarrusso. Del quale nella Cattiveria di giornata del Fatto Quotidiano si è scritto che “le iene  adorano la carne di cadavere”.“Dopo Giarrusso spunta Di Maio”, ha annunciato il Giornale, non so ancora per quanto della famiglia Berlusconi, ricordando che il Pd non è riuscito nelle elezioni di settembre neppure a farlo rieleggere alla Camera dopo quella che era sembrata una straripante scissione pentastellata.

TUTTI I GRAFFI DI DAMATO 

 

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