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Guerre vere e guerre immaginarie fra Abruzzo, Ucraina e Gaza
Dagli strascichi del voto in Abruzzo alle parole del Papa sull’Ucraina, ecco come e perché la politica italiana ribolle. I graffi di Damato
Più che un analista, o addirittura soltanto un cronista, qui occorre dappertutto, in Italia e fuori, al di qua e al di là dell’Atlantico, al di qua e al di là degli Urali, non so se più un romanziere fantascientifico o un commediografo e simili come Eduardo De Filippo o Luigi Pirandello per raccontare e interpretare. quel che ci accade intorno. Fra guerre a pezzi, come le chiama il Papa, che si combattono davvero o per finta, col fuoco o con le parole.
LE PAROLE DEL PAPA SULL’UCRAINA
Davvero spontanea com’era apparsa, o solo equivocata per essere stata lanciata fra i piedi dell’intervistato dall’intervistatore, è aleggiata per un po’ sull’Europa, ma non solo, una bandiera bianca della pace, della resa, del negoziato, secondo le preferenze, fatta dello stesso tessuto, se non dello stesso abito del Papa per far cessare la guerra in corso da più di due anni in Ucraina. Una guerra che sembrava cominciata con un Pontefice più solidale con gli aggrediti che con gli aggressori in armi benedetti a Mosca da un Patriarca convinto anche lui che l’Ucraina dovesse essere se non “denazificata”, come diceva Putin, almeno bonificata dai costumi troppo licenziosi dell’Occidente che vi si era intrufolato.
Neanche se fatta dello stesso abito del Papa, quella bandiera è stata raccolta in Ucraina, dove si vogliono tenere ben stretta la loro bicolore. E avvolgervisi nella resistenza o nella controffensiva che Zelensky progetta o immagina contando evidentemente più sull’Europa della uscente Ursula von der Layen che sugli Stati Uniti di un rientrante – forse – Donald Trump, a dir poco isolazionista. Uno che vorrebbe liberarsi della Nato o affidarne i paesi morosi alla punizione russa. Starà girando la testa anche al generale Vannacci del mondo al contrario, già preso dai suoi guai disciplinari e dalle rocambolesche prospettive politiche offertegli quanto meno dalla Lega.
DALL’ABRUZZO AL G7, LE TRAPPOLE E I PENSIERI DI GIORGIA MELONI
Rispetto ai venti che soffiano su e dall’Ucraina, sono bazzecole quelli che ha sorpreso in Abruzzo, almeno nella vignetta di prima pagina del Corriere della Sera, una riedizione della coppia di Adamo ed Eva, nei panni di Giuseppe Conte e di Elly Schlein, in fuga dall’Eden immaginato con la vittoria, invece mancata, del loro candidato alla presidenza della Regione. Ha vinto, anzi rivinto, invece il governatore uscente di centrodestra che era stato degradato in campagna elettorale dagli avversari a un oriundo abruzzese emirato a Roma e governatore da remoto della sua terra d’origine.
Da donna impaurita, sabotata dai suoi alleati e in procinto addirittura di cadere fra qualche mese sulla strada di elezioni anticipate, Giorgia Meloni è tornata fortissima. O forte abbastanza per rimanere dov’è. E pazienza per chi nel centrodestra pensava di poterla mettere in sofferenza ancor più degli avversari di sinistra e dintorni,
Per gli irriducibili ottimisti del campo largo, o giusto, non tutto sembra però perduto. Distraendosi dai problemi di dossieraggio e dintorni che li angustiano, i colleghi di Domani – non mercoledì 13 marzo ma il quotidiano fondato da Carlo De Benedetti per consolarsi della perduta Repubblica, non custodita a dovere dai figli – hanno esortato a riprendere l’Abruzzo per quello che è, e non per quello immaginato: una regione modesta, poco rilevante nella partita elettorale che continua con le regionali e le europee di quest’anno e le regionali e d’altro livello amministrativo dell’anno prossimo.
La guerra insomma continua. Non come a Gaza, per fortuna, e neppure come in Ucraina, ma abbastanza per far capire che l’Italia c’è. E ha le sue cose, i suoi affari, le sue sorprese da riservare a chi se ne vuole occupare. Un’Italia peraltro presidente di turno del G7, con tutto quello che aveva in testa e ancor più ne avrà la Meloni dopo essere scampata alle trappole abruzzesi. Buon lavoro a tutti.