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I rapporti fra Pd e M5S

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I Graffi di Damato

So bene che non si dovrebbe scherzare, specie di questi tempi, col coronavirus. Cui il segretario del Pd ha annunciato di essere risultato positivo mettendosi in quarantena domiciliare, e facendo sottoporre a controlli tutti quelli che ha visto di recente: compreso -credo- il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Che egli ha incontrato quanto meno con gli altri governatori recentemente convocati a Palazzo Chigi per discutere della situazione sanitaria del Paese.

Eppure, scommettendo sul rapido ristabilimento di Nicola Zingaretti, e degli altri colleghi che dovessero trovarsi nelle sue condizioni, oltre al governatore della Lombardia Attilio Fontana già sotto protezione, non posso sottrarmi alla tentazione di chiedermi se sia proprio il coronavirus il maggiore inconveniente, chiamiamolo così, del segretario del Pd.

Anche se i problemi politici sono passati in second’ordine nell’emergenza sanitaria esplosa in Italia ed è stato bloccato quella specie di traffico ferroviario fra i vari convogli governativi che si davano arrivati al capolinea o in partenza, a conducente invariato o non, le precarie condizioni della maggioranza giallorossa si debbono alla curiosa decisione presa propria dal segretario del Pd di subire costantemente l’iniziativa del Movimento delle 5 Stelle. E ciò proprio nel momento in cui – con la sua crisi di identità e le perdite subite in tutti gli appuntamenti elettorali successivi al rinnovo delle Camere- esso si trova  nelle condizioni di maggiore debolezza.

Più che di coronavirus, il segretario del Pd soffre di dipendenza dai pentastellati, ai quali ha concesso di mantenere nel codice la fine della prescrizione all’esaurimento del primo dei tre gradi di giudizio -senza attendere la riforma del processo penale per stabilirne davvero la ragionevole durata richiesta dalla Costituzione- e un uso delle intercettazioni col sistema noto come Trojan che chissà quanti danni riuscirà a creare, per diffusa previsione degli esperti, sino a quando qualche incidente giudiziario di percorso non provocherà un intervento della Corte Costituzionale.

Se si ritiene troppo di parte l’allarme lanciato su questo problema da un avvocato di grido e di bravura come Giulia Bongiorno per via della sua militanza nella Lega di Matteo Salvini, che pure avrebbe dovuto impedire nei mesi del governo e della maggioranza gialloverde lo svarione della prescrizione quasi zero introdotta come una supposta a effetto ritardato nella legge nota come spazzacorrotti, si rifletta quanto meno sulle sirene da ambulanza suonate da un giurista come il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Flick.

Dal coronavirus il segretario del Pd sicuramente uscirà, ma chi e quando ci farà uscire dalla gabbia giustizialista in cui i grillini sono riusciti a chiudere questo Paese non si riesce francamente a vedere, dopo che ha smesso di agitarsi anche quel guastafeste di Matteo Renzi. Che non è proprio il massimo della simpatia – lo riconosco, con quel petto sempre in fuori e la spavalderia quasi dell’altro Matteo- ma ogni tanto capita anche a lui di segnalare qualche problema reale. E quello di Zingaretti a rimorchio dei grillini pur calanti, coi quali sta riuscendo a fare anche qualche intesa locale per rendere strategica un’alleanza proposta come provvisoria e tattica proprio da Renzi, un problema lo è di certo:  più grave – visti i suoi 54 anni di età e le sue buone condizioni di salute- del coronavirus che lo ha disturbato nelle funzioni appena assegnategli generosamente da Eugenio Scalfari di “leader di tutto il movimento liberalsocialista”, anche a costo di deludere forse il già quasi incoronato Giuseppe Conte.

L’articolo da I graffi di Damato.

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