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I rettori battono cassa e Bernini lascia il cerino a Giorgetti

rettori

Agli Stati generali dell’università la Conferenza dei rettori lamenta i pochi soldi previsti per gli atenei, perplessità sulle proposte

Sottofinanziamento, assenza di ricambio generazionale e nodo delle indennità dei rettori, con richieste di aumenti che dividono il mondo accademico e le istituzioni. Questi i temi principali al centro degli Stati generali dell’università, che hanno acceso il dibattito sul presente e sul futuro degli atenei italiani.

LA PROPOSTA DEI RETTORI: LEGARE I FONDI AL PIL

Durante l’evento organizzato dalla Conferenza dei rettori delle università italiane, la presidente Giovanna Iannantuoni ha sottolineato il bisogno di maggiori risorse per gli atenei, proponendo di legare il Fondo di finanziamento ordinario al Pil. Il succo è: se l’economia cresce, anche i fondi destinati alle università devono aumentare.

La ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, si è mostrata possibilista, aprendo all’idea e definendola “interessante”. Tuttavia, ha messo in evidenza la necessità di riformare il Fondo che attualmente, secondo la ministra, “non funziona, è rigido e intrappola risorse inutilizzate”.

LA RICHIESTA DI AUMENTO DELLE INDENNITA’

Al centro del vivace dibattito anche le richieste di aumenti per le indennità dei rettori. Bernini ha fatto presente che “i rettori possono proporre aumenti, che devono essere valutati dal Mef. Io – ha aggiunto – finora ho tenuto ferme queste richieste, considerando le difficoltà economiche dichiarate dagli atenei”.

La ministra è tornata poi sul punto, per rendere ancora più chiaro il messaggio rivolto ai rettori: “molti di loro chiedono di duplicarsi, triplicarsi, nella media di duplicarsi l’indennità. A questo punto ho mandato la richiesta al Mef che valuterà il da farsi”. Il passaggio al Mef è obbligatorio, il Mur infatti – come ricorda la stampa – più solo verificare i requisiti di legge delle singole proposte.

PERPLESSITA’ SULLA PROPOSTA DELLA CRUI

Tuttavia, diverse proposte suscitano perplessità. Come riporta La Verità, ad esempio, il rettore dell’Università di Genova, Federico Delfino, ha richiesto un aumento da 40.000 a 160.000 euro l’anno, giustificando la domanda con i risparmi ottenuti sulle utenze. Simili richieste sono arrivate da altri atenei. A Bologna, ad esempio, il rettore Giovanni Molari potrebbe passare da 50.000 a 100.000 euro l’anno. A Parma, invece, Paolo Martelli mira a un aumento da 63.310 a 153.268 euro. In Puglia, a Bari, il rettore Stefano Bronzino ha già ottenuto un incremento da 71.856 a 160.000 euro (+128%).  Se il Mef approvasse tutte le richieste, il costo annuale per le indennità passerebbe da 1,7 milioni a oltre 3,5 milioni di euro.

Le proposte di aumenti suscitano tensioni anche tra gli stessi rettori. Riccardo Zucchi, dell’Università di Pisa, ha deciso di ridurre la propria indennità del 20% nel 2025, affermando: “È un gesto doveroso, visto che chiediamo sacrifici a studenti e precari”. Organizzazioni sindacali come la Flc Cgil hanno criticato duramente alcune richieste, definendole “politicamente sbagliate” e in contrasto con le ristrettezze economiche lamentate dagli atenei per anni.

I NODI INTERNI AL SISTEMA ACCADEMICO

Oltre al tema delle indennità, gli Stati Generali hanno evidenziato altre problematiche. Tra queste: il numero di ricercatori italiani è ancora inferiore rispetto agli altri Paesi europei; il fatto che solo il 30% dei giovani italiani ha una laurea, contro una media europea più alta. Non solo. Le università faticano ad attrarre studenti stranieri e a contrastare il calo demografico.

La presidente Crui Iannantuoni ha comunque celebrato alcuni successi: negli ultimi 10 anni il numero di laureati è aumentato del 50%, e il 67,5% degli studenti è il primo in famiglia a conseguire un titolo accademico.

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