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I subbugli politici sulla nave Gregoretti

Gregoretti

I graffi di Damato sul processo Gregoretti che impasticcia la maggioranza giallorossa di governo

Soddisfatto, beato lui, dei pur non esaltanti risultati della conferenza internazionale sulla Libia a Berlino, dove non è riuscito a trovare un posto in prima fila neppure nella foto conclusiva, e pronto a “monitorare” anche con i nostri militari  la tregua tra chi si contende con le armi il controllo effettivo di quel paese in cui si giocano molti interessi economici e politici dell’Italia, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte deve intanto monitorare in questa settimana la salute del suo governo alle prese con le elezioni regionali di domenica prossima in Emilia-Romagna. Esse sono diventate un passaggio decisivo per la sopravvivenza della maggioranza giallorossa, in grado probabilmente di incassare senza conseguenze una sconfitta in Calabria, dove pure si voterà il 26 gennaio, molto meno nella regione storicamente roccaforte della sinistra. Lo ha fatto capire con franchezza l’insospettabile, ed emiliano, capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio accompagnando la fiducia d’ufficio, diciamo così, nella vittoria della propria parte politica con questa ammissione: “Se si perde, saranno problemi”. Sì, saranno problemi a cominciare dal segretario del Pd Nicola Zingaretti per finire con i grillini, la cui crisi interna, già grande di suo, si aggraverebbe con quella della maggioranza di governo.

L’ASSALTO DI SALVINI IN EMILIA ROMAGNA

Sia il Pd che il Movimento 5 Stelle, pur separati nella competizione elettorale in Emilia-Romagna, sperano di proteggere quella regione dall’assalto di Matteo Salvini e del centrodestra con l’aiuto delle “ sardine”, che hanno appena riempito all’inverosimile la piazza di Bologna scelta per il loro raduno propiziatorio della sconfitta dell’ex ministro dell’Interno. Le sardine, si sa, piacciono molto in questa stagione politica al Pd, che pensa di rifondarsi anche col loro sapore, e cominciano ad essere corteggiate anche dai grillini o dai loro vertici, le cui attenzioni sono state rivelate pubblicamente dagli stessi interessati. Ma nessuno sa veramente se  questi rinforzi basteranno a contenere l’assalto politico di Salvini, cui è stato imprudentemente regalata una gestione alquanto pasticciata, francamente, del processo chiesto contro di lui dal tribunale dei ministri addirittura per sequestro di persona in ordine al cosiddetto “affare Gregoretti”. Che fu nella scorsa estate una variante, a dir poco, dell’analogo “affare Diciotti” dell’anno precedente, chiusosi col no anche dei grillini al processo riconoscendo l’enormità dell’accusa di fronte ad una politica di contenimento dell’immigrazione clandestina, e relativi sbarchi sulle coste italiane, condotta dall’allora maggioranza gialloverde.

L’AFFARE GREGORETTI

Nelle indecisioni e contraddizioni della maggioranza giallorossa, ridottasi a cercare di rinviare ogni decisione formale, sia pure di prima istanza, nella giunta delle immunità del Senato, a dopo le elezioni regionali di domenica, ha affondato metaforicamente il coltello Salvini chiedendo ai leghisti di votare pure loro in questa sede per il processo. Che pertanto sarà cavalcato dal leader leghista in questi ultimi giorni di campagna elettorale come una specie di discrimine fra il chiaro e l’oscuro, tra la trasparenza e l’ambiguità, tra il garantismo e il giustizialismo, tra il primato della politica e quello della magistratura.

L’obiettivo di Salvini, che persino al Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, schieratissimo per il processo Gregoretti, stentano a prevedere condannato in un tribunale ordinario per sequestro di migranti trattenuti per alcuni giorni  e assistiti su navi militari italiani in attesa di sbarchi concordati con altri paesi europei; l’obiettivo di Salvini, dicevo, è quello di “squarciare il velo” della verità e della trasparenza, come ha spiegato la sua legale e collega di partito Giulia Bongiorno. La quale proprio in nome di questo obiettivo ha finito per condividere la tattica scelta questa volta dal leader leghista, opposta a quella da lei consigliatagli nell’affare Diciotti per avvalersi dell’immunità parlamentare riservata ai cosiddetti reati ministeriali dall’articolo 96 della Costituzione ed evitare il processo.

 

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