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I viaggi spaziali di Salvini

Salvini

I graffi di Damato

Il viaggio programmato da Matteo Salvini a Mosca passando prima per la Turchia e poi dal Cremlino partire magari per Kiev con chissà quale messaggio da recapitare personalmente al presidente ucraino Zelensky è stato un pò un missile lanciato nello spazio del ridicolo, diversamente da quelli supersonici che Putin sta sperimentando per rifarsi della figuraccia rimediata con l’”operazione speciale” in Ucraina. Che doveva esaurirsi in 48 ore, o in meno di una settimana, con l’assassinio o la fuga di quello che aveva scambiato per il Beppe Grillo dell’Ucraina e lo sta invece impegnando in una guerra che dura da più di tre mesi. per quanto lui si ostini a non chiamarla così.

Superato come da una coppia di missili da personaggi come il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Sholz, che hanno strappato per telefono a Putin qualcosa che bene o male ha aperto una spiraglio concreto nella partita ucraina, Salvini si è rapidamente ritrovato solo con le sue velleità. Che hanno messo in imbarazzo per primi i suoi amici di partito.

Forse pensava sarcasticamente proprio a Salvini il direttore del Giornale della famiglia Berlusconi quando ha chiuso il suo editoriale di oggi scrivendo che “le leadership si sono sempre forgiate nelle crisi”. Per Salvini, pur promosso di recente dallo stesso Berlusconi a “vero e unico leader di cui disponga l’Italia”, il ragionamento del mio amico Augusto Minzolini vale evidentemente alla rovescia, nel senso che in questa maledetta crisi internazionale Salvini è riuscito a realizzare un fiasco rispetto al quale impallidisce quello tutto interno dell’estate del 2019. Allora da vice presidente del Consiglio egli investì come peggio non poteva l’insperato successo conseguito elle elezioni europee.

Diavolo di un uomo, il capo della Lega e -sulla carta- anche del centrodestra per il sorpasso effettuato nelle elezioni politiche del 2018 su Berlusconi, provocò la crisi del primo governo di Giuseppe Conte, a maggioranza gialloverde, fidandosi dell’allora segretario del Pd Nicola Zingaretti. Che si era impegnato a non rinunciare all’opposizione prima di altre elezioni, puntualmente mancate.

Fra tutte le critiche ricevute- compresa la vignetta nella quale sulla prima pagina del Corriere della Sera Emilio Giannelli fa praticamente dare da Mario Draghi a Salvini il buon viaggio a Mosca nella speranza di non vederlo tornare con quel “dipende da quanto ci resti”- quella che deve essere costata di più all’intraprendente leader leghista appartiene a Giorgia Meloni, la sua concorrente a Palazzo Chigi sul fronte pur malmesso del centrodestra.

Per quanto formalmente all’opposizione, ma in realtà ormai nella maggioranza sul terreno della politica estera, la Meloni ha ricordato a Salvini che “non si fa propaganda con la guerra” e tanto meno “si rompe il fronte occidentale” dopo avere accordato la fiducia e avere fatto entrare il suo partito in un governo “atlantista” come quello orgogliosamente dichiarato da Draghi nella presentazione alle Camere.

Forse non ha torto Ignazio La Russa, come ha praticamente detto in una intervista a Repubblica, che ormai Berlusconi e Salvini non riusciranno ad evitare il sorpasso elettorale della Meloni neppure se leghisti e forzisti si federassero in una lista unica, perdendo pezzi entrambi, specie i secondi.

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