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Il nodo Giustizia

Giustizia Riforma Cartabia

I Graffi di Damato sulla riforma del processo penale reclamata dai leghisti, e promessa dai grillini, che non si è avvicinata ma allontanata

Chissà se le nove ore di tensione nel Consiglio dei Ministri e dintorni — tante ne hanno contate i cronisti — sulla cosiddetta riforma della giustizia predisposta dal guardasigilli Alfonso Bonafede, un po’ sfottuto da Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera come un Giustiniano mancato, hanno indotto il presidente della Repubblica a pentirsi del troppo ottimismo mostrato nella promulgazione della legge nota come “spazzacorrotti”. Dove c’è, quasi come un inciso, fortemente voluto dai grillini nonostante le resistenze e le riserve non solo e non tanto dei leghisti quanto del Consiglio Superiore della Magistratura presieduto dallo stesso capo dello Stato, la norma che dal 1° gennaio prossimo spazzerà via, con la sentenza di primo grado, la prescrizione. E affiderà anche agli assolti, in caso di ricorso da parte dell’accusa, a un processo praticamente a vita. Dalla “fine pena mai” dell’ergastolo si rischierà di passare al “fine processo mai” del rito antiprescrittivo.

LA RIFORMA DEL PROCESSO PENALE

Ebbene, a cinque mesi dalla fine dell’attuale regime della prescrizione, modellato secondo la gravità dei reati e delle pene, la riforma del processo penale reclamata dai leghisti, e promessa dai grillini, per evitare di consegnare alle Procure le chiavi del processo come ai carcerieri quelle delle celle degli ergastolani, non si è avvicinata ma allontanata.  “Stallo sulla giustizia”, ha titolato La Stampa. Quella finta approvazione, con la formula ormai tristemente abusata del “salvo intese”, del disegno di legge predisposto come “acqua fresca”, secondo le parole del vice presidente leghista del Consiglio e ministro dell’Interno Matteo Salvini, negli uffici del Ministero della Giustizia permette tutti i dubbi. E tutte le paure, viste anche le condizioni di precarietà, quanto meno, in cui si trascina il governo, fra minacce, annunci e rinvii di una crisi sullo sfondo di elezioni anticipate. Che potrebbero diventare funeste per chi le invoca per mostrare forza dai banchi delle opposizioni – a cominciare da Silvio Berlusconi, ora impegnato a trasferire la sua Forza Italia in un nuovo involucro chiamato L’Altra Italia – ma in realtà è il primo a sperare che vengano evitate con qualsiasi stratagemma.

LE PERPLESSITÀ DI MATTARELLA

Quella legge con la supposta incorporata della fine della prescrizione, una volta arrivata al Quirinale per la controfirma del presidente della Repubblica e la promulgazione, sembrava destinata – nella migliore delle ipotesi, per i suoi sostenitori – ad uscirne solo all’ultimo momento utile, al limite dei trenta giorni concessi dall’articolo 73 della Costituzione. Sarebbe stato un modo per fare avvertire le perplessità di Mattarella. Ma all’improvviso, chissà per quale motivo, forse temendo di contribuire all’aumento della temperatura politica che aveva cominciato a salire per la campagna elettorale in alcune regioni e infine in tutta Italia per il rinnovo del Parlamento Europeo, il capo dello Stato si decise ad anticipare la firma, sorprendendo persino qualche collaboratore.

 

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