Alla vigilia del vertice dei ministri della Salute del G7, le Regioni hanno scritto una…
Il supplizio dei ristoranti storici tra Covid, debiti e paradosso della qualità
La confusione dei Dpcm e l’incongruenza dei decreti ristori non bastano agli imprenditori della ristorazione, costretti ad accumulare debiti per garantire la qualità dei prodotti. L’intervista a Stefania Porcelli, titolare dello storico ristorante Checco er Carettiere a Trastevere, Roma
“Va bene chiudere tutto per contenere la pandemia, perché è saggio resistere oggi per riaprire a marzo, ma i decreti ristori sono sempre incongruenti”. Le parole di Stefania Porcelli, titolare dello storico ristorante di Trastevere Checco er Carettiere, raccontano un caso particolare in cui però si ritrovano molti altri imprenditori.
“Non possiamo mandare avanti l’azienda se non continuando a fare debito”, spiega la titolare, che lavora nella cucina trasteverina da cinquant’anni.
Stefania, i decreti ristori non bastano per mandare avanti l’attività?
“Senza finanziamenti non si può andare avanti. Se non si lasciano ‘sospesi’ alcuni pagamenti rimandandoli ai mesi futuri non si può lavorare. Ma quando riapriremo lo faremo con un macigno di debiti sulla testa”.
Secondo lei il governo sta facendo il possibile per aiutare il settore della ristorazione?
“No. La politica non aiuta, perché d’accordo che il virus è il colpevole di questa situazione, ma non possiamo ricevere indicazioni il giorno prima, c’è sempre troppa incertezza tra notizie sui giornali, bozze, comunicati, Dpcm e trasmissioni social”.
Aperture a pranzo, asporto, chiusura totale, come fate a organizzarvi?
“Non si sa mai se si lavora, se si può aprire, se i dipendenti devono venire a lavorare, se possiamo prendere prenotazioni, cosa dobbiamo fare con gli ordini di beni alimentari. Questo è un modo sbagliato di fare politica”.
Come si fa in questo momento a mantenere alta la qualità della ristorazione?
“Oltre a convivere con il virus, a sanificare tutto ogni giorno e ad accumulare i debiti, c’è il problema della qualità del cibo. Questa confusione su apri, chiudi, apri, asporto, chiudi, favorisce paradossalmente gli esercizi che vendono cibo di bassa qualità. Perché chi come me compra pesce, carne e verdura sempre fresca, non solo spende di più ma rischia di buttare via tanti prodotti a causa dell’incertezza sulle regole. Il menù è vario e non si può preparare da un giorno all’altro, perché l’offerta deve essere sempre fresca e sempre varia per attirare clienti. Quando tutti riapriranno, temo che ci sarà un appiattimento della qualità e questo sarà un danno per tutti, non solo qui a Trastevere”.
Zona gialla, zona arancione o rossa cambia qualcosa?
“No perché alla fine il discorso è questo: tenere aperto a pranzo durante la settimana è un po’ una presa in giro se poi chiudi nel weekend, perché non viene nessuno e non prendi nemmeno i ristori”.
È d’accordo con le azioni di Renzi?
“Questa crisi politica è un esempio negativo. Renzi ha sbagliato il modo e il suo errore è grave in questo momento, anche se sull’operato di Conte non ha tutti i torti, perché anche questo governo sta continuando a lavorare con modalità non condivisibili”.
Su cosa si trova in disaccordo?
“Non sono d’accordo sul loro metodo. Io sono disposta a fare sacrifici che valga la pena fare, non se vedo centinaia di persone qui a Trastevere e altrove continuare a fare aperitivi seduti senza la minima precauzione. Quello che vediamo non è accettabile. Forse il lockdown come marzo e aprile è esagerato oggi, ma chi può dirlo? Siamo in balia degli eventi, bisogna fare sacrifici ma ci vuole metodo”.
Come affronta questo periodo pieno di incertezza?
“Nell’incertezza generale resisto e penso ai progetti futuri, perché se c’è una cosa bella di questa pandemia e aver ritrovato un quartiere che fa il tifo per me e che mi vuole bene”.