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Ilaria Salis, chi ha (e chi non ha) le carte in regola tra Italia e Ungheria
Considerazioni un po’ controcorrente sulla “guerra” all’Ungheria per il caso Ilaria Salis. I Graffi di Damato
Pur con tutto il sostegno che merita, per carità, e che ha ricevuto Ilaria Salis, esposta in manette, guinzaglio e altro in un tribunale ungherese, sino a sottrarre la premier Giorgia Meloni al guinzaglio – pure lei – del suo omologo di Budapest, Orban, rinfacciatole da Matteo Renzi sul suo Riformista, e a farle fare una telefonata – spero – di poco amichevole protesta; pur con tutto questo, ripeto, mi appello alla memoria della quale abbiano da poco celebrato la Giornata, con la maiuscola. E ciò per chiedermi e chiedervi se noi italiani abbiamo tutte le carte in regola per fare di questo caso il casino in corso.
E tutto – temo e ripeto – solo per rimproverare meglio e di più alla Meloni il rapporto preferenziale, di tipo “sovranista” in Europa, che avrebbe con Orban. Che sarebbe solo malamente coperto o contraddetto da quello appena confermato a Roma, in occasione della Conferenza ItaliAfrica, fra la premier italiana e la presidente tedesca della Commissione dell’Unione Europea, Ursula von der Layen.
Appartengono purtroppo anche alla nostra storia giudiziaria, e direi pure politica, manette, schiavettoni e simili ai polsi sbagliati o nel momento sbagliato, o entrambi. Ci siamo già dimenticati, abbiamo già rimosso dai nostri ricordi le manette, gli schiavettoni e simili – ripeto – ai polsi di Enzo Tortora? Abbiamo già dimenticato gli schiavettoni con i quali fu esposto nei corridoi e per un po’ anche nell’aula del tribunale di Milano l’ex capo ufficio stampa della Dc Enzo Carra?
IL PARAGONE DELL’IDENTITA’ TRA I CASI DI ILARIA SALIS IN UNGHERIA E ZUNCHEDDU IN ITALIA
Non ha poi tutti i torti l’ex parlamentare della sinistra Tommaso Cerno sulla prima pagina-copertina della sua Identità a chiedersi e chiedere “Chi sta peggio” fra Beniamino Zuncheddu, reduce da 33 anni di carcere ingiustamente patito per un delitto attribuitogli con le solite forzature di inquirenti prevenuti e riusciti a convincere le corti dei tre gradi di giudizio, e Ilaria Salis. Della quale è lecito, oltre che augurabile, prevedere che possa uscire meglio dalla sua disavventura giudiziaria e umana in terra ungherese. Dove purtroppo – nonostante la rivoluzione che nel 1956, schiacciata nel sangue dai sovietici occupanti, aveva commosso tutto il pur impotente Occidente – i nipoti hanno smentito e tradito i nonni.
Già, perché fra tutte le cose che ho letto e sentito contro Orban e i suoi giudici e poliziotti è mancata l’unica che a mio avviso rende tragicamente comica la situazione in cui si trova quel Paese. Che in Europa ha voluto distinguersi anche per il rapporto solidale con Putin nella guerra in corso da due anni contro l’Ucraina per “denazificarla”, dicono ancora al Cremlino, dove il fantasma di Stalin regna sovrano. In Ucraina si muore per mano russa perché sotto sotto ci sarebbero ancora troppi nazisti e in Ungheria una giovane italiana finisce in carcere e sotto processo perché in una manifestazione avrebbe sferrato qualche cazzotto e calcio -pur negato- contro idioti di dichiarate e ostentate simpatie e nostalgie naziste.