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Italiani al mare, partiti in campagna elettorale, Draghi un po’ acciaccato. Fortuna che è rimasto Mattarella

Mattarella

I Graffi di Damato

Per molti, se non per la maggior parte di noi italiani, diciamoci la verità, come dimostrano le immagini del traffico, quella non solo di ieri ma anche di questi giorni a venire, sino a domenica, non è tanto la festa della Repubblica nel 76.mo anniversario del referendum istitutivo, ma la festa del Ponte, con la maiuscola. E non voglio farne motivo di scandalo, per carità, anche se mi rimangono sul gozzo i titoli che molti giornali hanno preferito dedicare -giustamente- ai 100 giorni trascorsi dall’inizio della guerra di invasione e aggressione di Putin all’Ucraina. Dove si sta consumando una tragedia immane nella indifferenza – temo- di troppa gente oltre i confini di quel paese che abbiamo imparato a conoscere ed anche apprezzare in Italia per i tanti che vi erano arrivati già prima per accudire spesso ai nostri familiari anziani o ammalati. E ai cui cari rimasti in Patria abbiamo aperto le porte sapendoli ora in fuga e senza casa, ridotta spesso in macerie da una guerra insensata come tutte, ma questa forse più del solito.

A proposito dei giornali, se ne avessi avuto uno a disposizione, avrei scelto questa volta per la prima pagina non la solita foto delle frecce tricolori svettanti sui fori imperiali e sulle truppe che vi sfilano davanti al Presidente della Repubblica e altre autorità, né le immagini di queste ultime, anche per risparmiarvi la presidente del Senato, seconda carica dello Stato, che mastica la gomma americana. No, avrei scelto qualcuna di quelle foto scattate nel pomeriggio di ieri nei giardini del Quirinale, dove il presidente Sergio Mattarella ha voluto incontrare tanti giovani e disabili, familiarizzando con loro in un misto commovente di umanità e senso dello Stato insieme: lo Stato di tutti, e non di chi sta meglio.

E’ veramente eccezionale -lasciatemelo scrivere- questo presidente al secondo e tanto non voluto mandato. La cui ritrosia alla rielezione, pur sollecitata alla vigilia della scadenza del primo settennato nelle piazze, nei teatri, nelle scuole, ovunque lui si recasse proprio per accomiatarsi, ci è costato politicamente qualcosa. Cui per fortuna supplisce la conferma comunque accettata alla fine dell’ennesima corsa al Quirinale, spero in modo completo, perché temo che una parte del danno possa rimanere, e per giunta aggravarsi.

Questo danno -scusate la franchezza, magari non condivisa da qualcuno o da parecchi di voi- sta nella debolezza derivata ad un presidente del Consiglio del prestigio internazionale come Mario Draghi dal fatto di essersi mostrato disponibile a succedere a Mattarella quando il presidente uscente appariva davvero inamovibile nella sua decisione di diventare solo e sempre senatore: a vita, come prescrive la Costituzione per il Capo dello Stato che esaurisce il suo compito. Da allora, purtroppo, il lavoro di Draghi, in Parlamento e fuori, fra i partiti che compongono la sua volutamente anomala maggioranza, proposta al Parlamento proprio da Mattarella più di un anno fa nella impossibilità di sciogliere in quel momento i nodi della crisi del secondo governo di Giuseppe Conte col riscorso anticipato alle urne; da allora, dicevo, il lavoro di Draghi si è politicamente complicato. Né poteva in fondo accadere diversamente pensando che a poco più di un anno dall’esaurimento ordinario e improcrastinabile della legislatura, a meno che Putin non decida di spingersi con le sue truppe fino in Italia, i partiti -proprio tutti, anche quelli che lo negano- si sentono e si muovono in campagna elettorale, spinti più dalla propaganda che dalla responsabilità. Di cui si sente la mancanza quanto più alta è per le forze politiche in campo la posta in gioco, ciò che rischiano cioè di perdere o di non conquistare.

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