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La carica dei 101 per il Colle

Referendum Colle

Alla ricerca di un vaccino anche per gli aspiranti al Quirinale. I Graffi di Francesco Damato

Nel giorno peraltro dell’entrata in vigore del green pass in versione super ci sarebbe da chiedersi -scherzando ma non troppo- se in questa stagione politica non occorra anche un altro vaccino, che immunizzi dalle ambizioni eccessive i tanti aspiranti al Quirinale, palesi o sommersi che ancora siano.

Il Giornale, sempre quello della famiglia Berlusconi, titola in prima pagina sull’incoraggiamento di Maurizio Costanzo all’amico quasi coetaneo Silvio a correre davvero per il Colle, con la maiuscola che ormai gli spetta, smettendola quindi di entrare e uscire dalla competizione secondo i giorni e le ore. Già, perché la corsa del Cavaliere ha anche questa intermittenza curiosa, che ne fa spesso più una minaccia che un assaggio. Ma ciò è già bastato -bisogna ammetterlo, come lo stesso Giornale ha annunciato con un altro titolo- perché nei sondaggi sul successore di Sergio Mattarella “svettano Draghi e Berlusconi”, appunto.

Sarà quanto meno difficile che riesca ad inserirsi nella gara, come ha invece immaginato Domani, il giornale di Carlo De Benedetti, anche il ministro della Cultura Dario Franceschini, del Pd. Le cui credenziali sono state così elencate, in una didascalia un po’ acida, dal quotidiano che si è mostrato più attento di altri, diciamo così, alla sua aspirazione presidenziale: “Il grande navigatore del potere è stato demitiano, prodiano, veltroniano, bersaniano, renziano, zingarettiano e molto altro. In vista della corsa al Colle è per la prima volta franceschiniano”, e basta: tanto avventato, forse, da immaginare che nessuno dei leader da lui prima adottati e poi abbandonati sia in grado o abbia la voglia di organizzargli la fronda in un Parlamento affollato più di umori, anzi malumori, che altro.

Il vaccino su cui scherzavo contro le ambizioni eccessive, solitamente foriere più di infortuni che di successi, deve averlo preso nella sua Bologna l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi. Che vedendosi serenamente nello specchio -una volta tanto, perché l’uomo dietro una certa bonomìa nasconde un carattere spigoloso e una memoria di ferro- ha appena confermato in una intervista televisiva alla Rai di non essere interessato al Quirinale. O di non esserlo più, dopo lo sgambetto riservatogli dai colleghi di partito nel 2013 per pareggiare quello che aveva portato alla bocciatura anche di Franco Marini, presidente peraltro del partito e forte dell’appoggio annunciato anche dal centrodestra.

A 82 anni compiuti nella scorsa estate, per quanto ne avesse altrettanti Sandro Pertini nell’elezione del 1978, Prodi ha detto di avere imparato a contare dalla “maestra elementare”. E spiegato: “Non è cosa, si dice. C’è l’età, c’è che sto benissimo così, ci sono tantissime ragioni. E poi c’è il realismo politico: se un uomo politico ha un minimo di saggezza deve rendersi conto delle situazioni”.

In particolare, Prodi è stato nella cosiddetta seconda Repubblica- dopo l’esordio nella prima con una celebre seduta spiritica durante il sequestro di Aldo Moro per cercare di individuare la prigione in cui l’avevano chiuso le brigate rosse- l’antagonista di Silvio Berlusconi. Lo sconfisse due volte nelle urne, nel 1996 e dieci anni dopo, perdendo però rapidamente entrambe le partite nelle aule parlamentari. E’ stato pertanto “un filino di parte”, come ha detto anche di Berlusconi l’ex capogruppo del Pd al Senato Andrea Marcucci riconoscendogli, per carità, il diritto di aspirare al Quirinale ma avvertendo l’improbabilità del successo.

TUTTI I GRAFFI DI FRANCESCO DAMATO

 

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