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La corsa per il PNRR in Parlamento è tutta una fiducia

Draghi De Gaulle Fiducia

Le opposizioni scalpitano per le troppe votazioni di fiducia richieste dall’esecutivo. “Alternativa c’è” occupa la sala Koch di Palazzo Madama per ostacolare la discussione degli emendamenti al testo Cartabia. Fratelli d’Italia attacca: “A che serve il Parlamento?”

Riuscirà Mario Draghi a farci prendere i soldi del Next Generation Eu? Riuscirà a riformare il Paese, rivoltandolo come un calzino e rispettando lo scadenzario assai stretto che ci siamo autoimposti col Piano di ripresa e resilienza? Tutta questione di fiducia. Non è un modo di dire, però. O non solo, visto che a Montecitorio, dall’insediamento dell’esecutivo, avvenuto lo scorso febbraio, a oggi, ci sono già stati 14 voti blindati… dalla fiducia, appunto. Mentre al Senato ne arriveranno altri 4, tre dei quali per le riforme dei processi civile e penale. Tutte materie cara all’Europa, tutte materie del PNRR, che ha imposto una accelerazione. Alla chiusura dei lavori, in agosto, la media era una fiducia ogni 13,39 giorni: il Conte 2 ne aveva posta una ogni 13,5 giorni; il Conte 1 più d’una ogni 30 giorni circa.

Condoluci senato

Spiega Openpolis, che ha fatto i calcoli: “nelle ultime 3 legislature, il governo che ha fatto maggiormente ricorso a questo strumento è stato quello guidato da Mario Monti con una media di 3 fiducie al mese. Seguono i governi Conte II (2,25 fiducie al mese), Gentiloni (2,13), Draghi e Renzi (2)”. Berlusconi, che pure era spesso accusato di svuotare il Parlamento del proprio ruolo, vi ricorreva in media una volta al mese.

Quello di Draghi si conferma così il governo dei record, ma pure delle anomalie: è il governo dalla maggioranza più ampia mai vista, ma anche quello che tende a silenziare maggiormente il dibattito parlamentare, facendo lavorare gli onorevoli sotto dettatura, costretti a ratificare le decisioni prese altrove. E dire che Matteo Renzi staccò la spina al Conte bis quando seppe dell’arrivo dell’ennesima task force, quella da 300 tecnici per gestire il Recovery Fund: “Così si esclude il Parlamento dalla gestione dei fondi”, disse l’ex sindaco toscano.

Renzi

Ma il fatto è che il governo Draghi ha dietro Bruxelles con le fruste. Le riforme sono tante, complesse, epocali, il tempo è poco. Lo illustra bene un report dell’Osservatorio sui Conti pubblici della Cattolica di Milano, che sintetizza fin nel titolo: “Il PNRR è appena iniziato e c’è già molto da fare”.

Già entro la fine dell’anno – si legge – dovranno essere attuate 51 condizioni delle 528 complessive che scadenzano la realizzazione del piano fino al 2026 e che consentono l’erogazione delle relative risorse europee. Delle 51 condizioni per il 2021, 5 erano previste per il secondo trimestre (tutte realizzate ad eccezione di una) e 4 per il terzo (ancora tutte da realizzare). Le 42 condizioni rimanenti, da completare entro il quarto trimestre, sono molte, soprattutto se paragonate a quelle dei trimestri successivi (in media 24 per ciascun trimestre). Tra queste una sfida particolare sarà soddisfare le condizioni relative alle riforme, sia per la loro numerosità (24 da completare entro dicembre) sia per la complessità di alcune di esse (come, ad esempio, le condizioni relative alle riforme del processo penale e civile)”.  Insomma, come si vede, chi sta fuori dal Parlamento ha poca fiducia in Draghi. Almeno chi è dentro, faccia la fatica di averla, o votarla.

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