L’inchiesta sull’urbanistica milanese segna il tramonto di un modello? E di quale, per la precisione? L’intervista a Giulio Centemero, parlamentare della Lega e autore di Anche i ricchi piangono. La crisi del modello Milano e delle global cities (Baldini + Castoldi)
Milano, paradigma delle global city in crisi: a tracciarne i contorni è Giulio Centemero in Anche i ricchi piangono. La crisi del modello Milano e delle global cities (Baldini + Castoldi), un’inchiesta su cinque ambiti chiave – affitti brevi, istruzione, turismo, giovani e “Cantillon effect” – per raccontare le tensioni di una metropoli che, pur benestante sulla carta, mostra crepe profonde nel suo modello di sviluppo.
Oggi questi motori di trasformazione urbana si scontrano con lo scossone giudiziario della recente inchiesta sull’urbanistica, che coinvolge costruttori, manager e persino l’assessore comunale, evocando il rischio di un “piano regolatore ombra” e intrecci controversi che mettono in discussione lo sviluppo del capoluogo lombardo.
Prima del clamore dell’inchiesta, il libro di Centemero individuava i fenomeni alla base della crisi urbana, dalla speculazione sugli affitti brevi alla fuga di giovani e cervelli, mettendo in luce – come sottolinea Guido Maria Brera nella sua prefazione – le minacce concrete che derivano dal lasciare una città preda dell’estrattivismo di rendite e l’uomo in balia dei “flussi di capitale liquidi”, senza orientare tecnologia e finanza verso il progresso delle società.
Per capire nel concreto cosa sia il tanto chiacchierato “modello Milano”, abbiamo parlato direttamente con l’autore, parlamentare per la Lega dal 2018 e membro della VI Commissione Finanze alla Camera, oltre che vicepresidente della Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, presidente dell’Assemblea parlamentare del Mediterraneo e dell’intergruppo parlamentare di Amicizia Italia-Armenia.
Parafrasando il titolo del suo libro, verrebbe da dire: “anche i saggi hanno i loro protagonisti”. Quello scelto da lei è il “white man milanese”. Chi è costui oggi?
È il rappresentante della classe media che si ritrova davanti a un mondo in rapida evoluzione, al venire meno di molte certezze e a una complessità mai vista nel passato. Dalla complessità, come dico sempre, però non derivano solo problemi ma anche opportunità.
Quanto di ciò che sta emergendo dall’inchiesta sull’urbanistica milanese dipende dalla storia e dalle caratteristiche specifiche del capoluogo lombardo, e quanto invece appartiene a un fenomeno più ampio che riguarda le cosiddette “global city”?
Nel libro riporto alcune delle analisi effettuate dal Sandwich Club, il think tank che ho cofondato con altri amici, focalizzato sui mega trend. Un innegabile trend relativo a tutte le global city è quello della gentrificazione: se non governato, come tutti i fenomeni, possono derivarne problemi. Per rispondere alla sua domanda posso affermare che ciò cui fa riferimento discende dal trend della gentrificazione comune a tutte le global city e in particolare dalla carente gestione dello stesso a Milano.
Nel suo saggio emergono rischi di estrattivismo urbano e gentrificazione, mentre nelle cronache nazionali leggiamo di rapporti controversi tra decisori pubblici e grandi operatori immobiliari. È il sintomo di un modello insostenibile? Cosa bisogna cambiare nel rapporto tra città, cittadini e sviluppo immobiliare?
I rapporti tra pubblico e privato sono fondamentali per lo sviluppo delle nostre città, non vanno demonizzati ma gestiti al meglio per creare valore dalle sinergie che ne possono derivare. Il modello diventa insostenibile nel momento in cui il direttore d’orchestra non svolge i propri compiti: centro, periferie e hinterland vanno collegati e non separati; le dinamiche di aumento generalizzato dei prezzi derivanti dal fenomeno economico del Cantillon effect vanno mitigate con azioni del decisore pubblico, come quella di creare edilizia popolare anche in zone centrali della città.
Regolerei i rapporti tra gli attori che menzionava con il modello dei sandbox e hub urbani, dove tutti gli stakeholder possano dialogare.
Secondo lei, c’è il rischio che l’effetto dell’inchiesta si risolva in un freno allo sviluppo immobiliare milanese, con la conseguenza di far lievitare ulteriormente i prezzi del mattone?
Purtroppo il rischio c’è.
È davvero “tutta colpa di Airbnb”? Perché il modello della company americana si è imposto mentre il mercato immobiliare milanese vive una profonda crisi?
No, le dinamiche sono ben più complesse e servirebbe un altro libro per spiegarle per bene. Posso solo dire che gli affitti brevi non vanno colpevolizzati (se una famiglia arrotonda affittando una stanza o un bilocale acquistato coi propri risparmi è giusto che possa farlo) ma semplicemente gestiti in ottica di integrazione con il resto dell’offerta.
Tra i capitoli finali del libro si trova una riflessione sul rapporto tra città e cittadinanza, che si conclude con un invito a modificare il senso di quest’ultima in senso più digitale. Come nasce questa urgenza e a quali nuove sfide corrisponde?
Nasce dalle sfide poste da un mondo sempre più veloce e dal fatto che dobbiamo trattenere le risorse che hanno scelto Milano e l’Italia come luogo d’approdo: una burocrazia da coda infinita allo sportello postale di certo non aiuta.