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La crisi si risolve o si arena?

Cesa

I Graffi di Damato. I centristi forse si salvano dalla ragnatela di Conte grazie a Cesa

Sbaglierò ma la rapidità con la quale si è dimesso da segretario dell’Udc, una volta gestita con l’amico Pier Ferdinando Casini, mi ha dato l’impressione che Leonardo Cesa abbia voluto approfittare del nuovo inciampo giudiziario nella sua lunga esperienza politica per tirarsi fuori dalla ragnatela di Giuseppe Conte. Che sta cercando di catturare come insetti i centristi post democristiani, come quelli post liberali, post socialisti riformisti e altro ancora per allargare quel che di relativo, assai relativo, specie al Senato, gli è rimasto della maggioranza improvvisata attorno al suo secondo governo nell’estate del 2019, dopo la rottura con Matteo Salvini. Adesso il presidente del Consiglio sta facendo i conti, al plurale, con l’altro Matteo della politica: Renzi.

Cesa ha buone ragioni d’altronde per nutrire la fiducia che ha subito espresso o confermato nei riguardi della magistratura dimettendosi da segretario del partito più noto fra le schegge di quella che fu la Democrazia Cristiana, pensate un po’, di Alcide De Gasperi, Attilio Piccioni, Amintore Fanfani, Aldo Moro, Giulio Andreotti, per fermarci ai morti, e non tutti. Oltre ad essersela cavata, sia pure fortunosamente, nella tempesta lontana di Tangentopoli grazie alla saggia e ostinata condotta processuale del compianto Gianni Prandini, che pure lui aveva contribuito in modo decisivo a fare arrestare, Cesa può contare questa volta sulla facilità all’errore del magistrato che in Calabria gli ha contestato l’associazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso.

Si tratta di Nicola Gratteri, le cui retate con manette o semplici avvisi di garanzia, che mediaticamente spesso si equivalgono, perdono abitualmente per strada un bel po’ di indagati e imputati. L’infortunio più recentemente certificato di questo magistrato d’accusa, che peraltro Matteo Renzi avrebbe voluto nel 2014 ministro della Giustizia nel suo governo, trattenuto con fermezza dall’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano, è l’assoluzione dell’ex presidente della Calabria Mario Oliverio.

A Cesa può essere capitato, come ad ogni segretario di partito, di incontrare “gente di ogni tipo”, ha detto rammaricandosene la senatrice Paola Binetti. Che nei giorni scorsi era stata non aperta ma apertissima alla ragnatela di Conte, chiedendo solo un po’ più di tempo per finirci dentro. Ora, scoppiata quella che sui giornali è diventata “la bomba Cesa”, la senatrice si è fatta più prudente ed ha ripiegato su una “riflessione” più lunga, impostale però dalla furia solita degli altrettanto soliti grillini. Che si sono levati come un sol uomo, pur divisi come sono tra di loro, contro la contaminazione che rischiano accettando nella coalizione di governo persone non solo come Cesa ma anche come la Binetti, appunto.

Povero anche Conte, verrebbe da dire pensando ai condizionamenti che deve subire sotto le 5 stelle, cui deve il suo approdo a Palazzo Chigi. Ma la comprensione è relativa come la maggioranza che gli è rimasta al Senato perché di suo c’ha messo molto, anzi moltissimo, nell’aumento della confusione e delle tensioni politiche in corso facendo a gara con Matteo Renzi nell’esasperazione dei contrasti. Egli ha tuttavia l’aggravante di essere stato colto con le mani nel sacco, diciamo così, di un piano superficialissimo e pasticciato di utilizzo dei fondi europei della ripresa, contestatogli a ragione dal suo alleato, ora ex. Ma non è detto che il realismo della precarietà non costringa entrambi a ricontattarsi sull’orlo delle elezioni.

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