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La guerriglia nella sessione di bilancio

Grillini Question Time

I Graffi di Damato sulla “guerriglia” parlamentare della sessione di bilancio a cui si aggiunge un’altra sul versante non meno delicato della giustizia

In curiosa coincidenza con la festa delle Forze Armate, a più di un secolo dalla Vittoria, con la maiuscola, nella prima guerra mondiale, comincia al Senato il cammino para-militare, diciamo così, della legge di bilancio e manovra finanziaria annessa.

LA SESSIONE DI BILANCIO

Questa si chiamava una volta “sessione di bilancio”, a garanzia della quale si allertavano anche i presidenti della Repubblica chiedendo ai presidenti delle Camere di sgomberare il terreno da ogni altro ostacolo, persino congelando e rinviando eventuali mozioni di sfiducia. Ciò accadde, in particolare, con Giorgio Napolitano al Quirinale, quando il presidente della Camera Gianfranco Fini, nell’autunno del 2010, lavorava per la caduta del governo di Silvio Berlusconi in carica, predisposta con un documento che certificava la rottura della maggioranza di centrodestra.

Ora la sessione di bilancio passa tranquillamente sui giornali, con tanto di retroscena ma anche di annunci ufficiali, come una sessione di “guerriglia”, con evocazioni del Vietnam. E tra i guerriglieri naturalmente Matteo Renzi si è già conquistato i gradi di generale in qualche titolo, alla testa della pattuglia della maggioranza più ostile alle tasse, vecchie e nuove.

LO SCOGLIO DELLE PROSSIME REGIONALI

Gli scontri all’interno della maggioranza, per quanti vertici abbia convocato e presieduto Giuseppe Conte per superare le “riserve” di approvazione del bilancio nei passaggi del Consiglio dei Ministri, non danneggeranno di certo la campagna elettorale che l’altro Matteo, Salvini, ha già cominciato in Emilia Romagna per strappare il 26 gennaio alla sinistra anche questa regione “storica”, com’è già accaduto il 27 ottobre in Umbria. E ciò sarebbe per il governo e per la sua maggioranza giallorossa un colpo ancora più duro della terra di San Francesco, capace di vanificare anche l’approvazione del bilancio comunque ottenuta in Parlamento. Probabilmente se le diranno e daranno di tutti i colori il Pd e il Movimento delle 5 Stelle, che in Emilia Romagna correranno separati per il rifiuto opposto da Luigi Di Maio di ripetere l’esperienza in Umbria, dove i piddini hanno perduto tenendo però pressappoco la loro consistenza e i grillini invece sono precipitati alle dimensioni di una sola cifra.

LA MANCATA RIFORMA DEL PROCESSO PENALE

Alla “guerriglia” parlamentare della sessione di bilancio se ne aggiunge un’altra sul versante non meno delicato della giustizia. Dove in queste settimane piddini e grillini dovranno pur decidere che cosa fare della sostanziale abolizione della prescrizione messa come una supposta dal precedente governo nella cosiddetta legge “spazzacorrotti” con decorrenza dal primo gennaio prossimo. La mancata riforma del processo penale, cui a parole — ma solo a parole — era stata condizionata dai leghisti l’abolizione della prescrizione con l’emissione della sentenza di primo grado, condanna praticamente gli imputati a rimanere tali a vita, pur assolti al primo processo con sentenza però impugnata dall’accusa. Si vedrà se i piddini si arrenderanno come i leghisti l’altra volta, o riusciranno a strappare al ministro pentastellato della Giustizia, rimasto fermo al suo posto nel cambio di governo e di maggioranza, almeno un rinvio della nuova disciplina praticamente soppressiva della prescrizione.

Sul fronte giudiziario c’è anche da segnalare qualcosa che se non è guerriglia, un po’ le assomiglia. È la progressiva delegittimazione della Corte di Cassazione dopo la sentenza, peraltro non ancora depositata, con la quale è stato bocciato il teorema dell’aggravante mafiosa dell’associazione a delinquere scoperta e denunciata a Roma come “Mafia Capitale” dalla Procura della Repubblica guidata allora da Giuseppe Pignatone. Che ora parla di  “Mondo di mezzo” in un articolo che la Stampa ha scelto per aprire la sua prima pagina: un articolo però che, nonostante il ripiegamento sul “Mondo di mezzo”, non è per niente autocritico, o di accettazione del verdetto della Cassazione. Che pure è per legge inappellabile, neppure — verrebbe da dire ironicamente — davanti al tribunale del Vaticano di cui Pignatone è diventato presidente dopo essere andato in pensione come magistrato italiano.  Egli è rimasto convinto che la mafia a Roma c’è stata.

Si può forse capire nella sua nuova veste di magistrato di Santa Romana Chiesa, oltre le Mura, ma c’entra francamente poco con la Cassazione e con i processi al “Mondo di mezzo” di Carminati e soci,  il richiamo di Pignatone alla buonanima virtuosissima, per carità, del cardinale Carlo Maria Martini. Di cui l’ex capo della Procura della Repubblica di Roma ha voluto citare un lungo passo delle riflessioni sulla malavita della sua Milano, e Lombardia. “La mafia per sua logica interna — disse Martini — va a braccetto con la corruzione. Affari, illegalità, droga sono oggi tra gli elementi portanti di quel circolo vizioso in cui la mafia cresce e che la mafia alimenta”.

Potrà essere anche vero, per carità, ma Martini — ripeto — non era e tanto meno è la Cassazione, almeno quella dello Stato italiano. Ne converrà anche Pignatone nella sua nuova veste di presidente del Tribunale del Vaticano.

 

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