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La letterina di Grillo

Grillo Conte

I Graffi di Damato sulla lettera di Natale scritta già sei anni fa e rilanciata ieri da Beppe Grillo e quella di dimissioni consegnata dal ministro dell’Istruzione Fioramonti al premier Conte

Con la fantasia che certamente non gli manca, ma anche con l’improntitudine di “un artista pazzo” nel quale si riconosce lui stesso, Beppe Grillo ha festeggiato il Natale a modo suo, dietro i cancelli che lo proteggono nelle sue ville come una volta — mi è già capitato di osservare — il muro di Berlino proteggeva dalla vista degli importuni i capi che governavano quella metà d’Europa finita sotto il controllo sovietico dopo la seconda guerra mondiale, e gli effetti che producevano ma da cui non si poteva scappare senza rischiare la morte.

Il comico che ha saputo conquistare con una risata il sostanziale controllo della politica italiana, riducendo a cartoline il Quirinale, Palazzo Chigi, le Camere e quant’altro, ha rilanciato nello spazio col suo blog, come con una bottiglia in mare, una lettera di Natale scritta già sei anni fa a un bambino non ancora nato: niente di paragonabile, per carità, a quella omonima, e di tutt’altro Natale, della grandissima, indimenticabile Oriana Fallaci.

IL MOVIMENTO 5 STELLE 6 ANNI FA

Gà sei anni fa, quando il suo movimento politico delle 5 stelle era approdato in Parlamento, aveva liquidato con uno sberleffo il governo “di minoranza e di combattimento” che l’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani si era proposto di fare con l’aiuto del comico di Genova, aveva praticamente costretto Giorgio Napolitano a farsi rieleggere al Quirinale per la impraticabilità di ogni altra soluzione, aveva indotto lo stesso Bersani a improvvisare le cosiddette larghe intese con Silvio Berlusconi attorno al primo e unico governo di Enrico Letta e infine consentito a Matteo Renzi di irrompere sulla scena come una specie dell’uomo della Provvidenza, Grillo ebbe il sospetto che il bambino non ancora nato “dopo venti o trent’anni” non avrebbe ben capito a che razza di rivoluzione suo babbo, o suo nonno, avesse voluto destinarlo. E gli chiese perciò “clemenza” nel giudizio, assicurandogli che tutto era stato pensato e impostato da lui e dai suoi “ragazzi” con le migliori intenzioni di questo mondo. Di cui si sa quanto sia generalmente lastricata la via dell’Inferno.

Si dà il caso, purtroppo, che da quella data, pur riproposta come attuale per questo Natale del calante 2019, siano passati sei anni sufficienti a quel bambino destinatario della lettera di nascere, per quanto la mamma avesse cercato di ritardare il parto, di guardarsi intorno, di avvertire e capire gli umori dei genitori, di vedere certe facce in televisione e di avere già avvertito forse che c’è qualcosa in loro che non funziona. Forse quel bambino — sicuramente non i suoi genitori o fratelli più grandi — non avrà bisogno di raggiungere l’età del voto, a 18 anni o ai 16 cui qualcuno vorrebbe abbassarla, per avvertire “le figure sbiadite dei leader di oggi” come “macchiette — parole dello stesso Grillo — o incidenti della storia, persone senza alcuna visione che purtroppo hanno disegnato come potrebbe solo un artista pazzo”, quale — ripeto — lo stesso Grillo inconsciamente ha avuto paura di essere.

GRILLO MERITA LA CLEMENZA DI GIUDIZIO CHIESTA?

Mi chiedo con franchezza se Grillo meriti la clemenza di giudizio che ha chiesto in questa stagione politica che ha quanto meno contribuito a confondere: per esempio, prima approvando l’alleanza con i leghisti e poi chiedendo la stabilizzazzione dell’accordo di governo fra il Pd e il suo movimento, ma continuando a lasciare le pile e i comandi delle cinque stelle a Luigi Di Maio. Che sembra essere francamente quello meno convinto del quadro cui appartiene, non sapendo da chi debba guardarsi di più fra i colleghi di partito — parola orribile solo a pronunciarsi dalle sue parti — e un presidente del Consiglio che lo sovrasta per preparazione ed è costretto continuamente a contenerne i danni spesso procurati anche inconsapevolmente: dall’annuncio della fine della povertà in poi, senza discontinuità fra un governo e l’altro.

LA LETTERA DI DIMISSIONI DEL MINISTRO FIORAMONTI

C’è un ministro, quello grillino della Pubblica Istruzione Lorenzo Fioramonti, che ha appena appeso all’albero di Natale una copia della lettera di dimissioni spedita a Plazzo Chigi da una parte per protestare contro i pochi fondi ottenuti per la scuola dal ministro piddino dell’Economia, sbrigativo nei suoi rifiuti quando non teme o sottovaluta l’interlocutore,  e dall’altra per prendersi la libertà di costituire un gruppo automomo alla Camera di maggiore sostegno al presidente del Consiglio. Sembra una commedia pirandelliana, ma è la realtà.

 

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