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La maggioranza italiana in guerra per aiutare l’Ucraina a trovare la pace

Conte Giugno

I Graffi di Damato

Pur mitigati, se non contraddetti, dalle immagini che provengono dall’Ucraina, tra edifici abbattuti o mutilati e vittime insepolte, “i primi spiragli di pace” avvertiti dalla Stampa e dal manifesto nei loro titoli di prima pagina, costruiti sulle notizie riguardanti soprattutto le trattative in corso fra le parti in Turchia sulla guerra avviata da Putin, si sono curiosamente -ma non troppo- tradotti in primi segnali concreti di crisi nella politica interna italiana. Che si sviluppa su logiche e per finalità proprie, essendo il problema più assorbente di tutte le forze politiche -chi più e chi meno- quello delle elezioni amministrative ormai imminenti e politiche dell’anno prossimo, se Giuseppe Conte non riuscirà, volente o nolente, a provocarne l’anticipo con le prove muscolari contro l’aumento delle spese militari che ha ingaggiato personalmente con Mario Draghi. Il quale, fermo sulle sue posizioni, peraltro conformi agli aumenti già praticati da Conte nei i suoi due governi precedenti, prima ancora quindi che la situazione internazionale precipitasse con l’aggressione di Putin all’Ucraina, ha voluto informare personalmente il presidente della Repubblica della brutta piega presa dai rapporti nella maggioranza.

Il premier usa l’arma del Colle”, ha riferito con una certa cautela in un titolo all’interno Il Fatto Quotidiano, Che però non è riuscito a trattenere la sua irritazione in prima pagina gridando al “ricatto”. Sarebbe quello naturalmente della crisi, delle dimissioni del presidente del Consiglio se i grillini tirassero troppo la corda, fra astuzie e manovre parlamentari. E volessero magari prendersi la rivincita rispetto al “Conticidio” di un anno fa, come usa chiamarlo ancora il direttore del giornale più sensibile agli umori e malumori pentastellati.

“Tredici mesi fa, fra gli applausi dei capocomici, fu rovesciato il Conte-2 in piena pandemia, scrittura del Pnrr e campagna vaccinale: tutte urgenze che competevano al governo, diversamente dall’Ucraina, dove Draghi conta un pò meno di un ficus benjamin”, ha scritto testualmente Marco Travaglio chiudendo l’editoriale odierno del Fatto, che sembra francamente un incitamento all’ex presidente del Consiglio a precedere addirittura Draghi sulla strada di una rottura.

Con molto e non so quanto meritato garbo Francesco Bei ha attribuito sulla prima pagina di Repubblica la condotta di Conte alla “identità irrisolta dei Cinquestelle”, divisi fra chi reclama la crisi non avendo mai digerito politicamente e umanamente Draghi, chi ne è tentato come appunto Conte e chi la contrasta come il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ormai diventato nella sua azione di governo, non certamente secondaria nel mezzo di una guerra come quella in corso in Ucraina, una sostanziale controfigura di Draghi.

In realtà -non me ne abbiano né Bei né, sempre su Repubblica, Francesco Merlo, che ha scritto della “lingua quasica di Conte”, come una volta lo stesso Grillo sottolineò la vocazione dell’avvocato al “penultimatum”- più che di una seria e sempre rispettabile crisi di “identità” di un movimento cresciuto troppo in fretta e costretto dalla realtà a “troppe rinunce”, come dicono quelli che l’hanno già abbandonato, Conte è forse alle prese con una crisi tutta personale, camuffata dal 94 per cento dei voti vantato nella conferma digitale di domenica sera alla presidenza del MoVimento. Che significa l’opposto di quello che sembra, essendo stato lui l’unico candidato e avendo partecipato alle operazioni digitali di voto meno delle metà degli iscritti, sino a ridurne i consensi materiali da 62 mila a 55 mila voti. E’ tutto qui il dramma di Conte, ben noto sia a Draghi sia, o soprattutto, al presidente della Repubblica ora allertato anche formalmente dal presidente del Consiglio.

TUTTI I GRAFFI DI FRANCESCO DAMATO

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