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La virata di Repubblica (e di Eugenio Scalfari) su Conte

Conte

Perchè Conte (secondo Eugenio Scalfari) non può partecipare alla Corsa per il Quirinale. I graffi di Damato

Sarà una debolezza, ma non mi faccio mancare di domenica, oltre alla messa e all’omelia non sempre felice del sacerdote di turno, l’appuntamento di Eugenio Scalfari con i suoi lettori sulla  Repubblica, da lui stesso fondata nel 1975 e passata via via di mano da un editore all’altro, sino ad arrivare al nipote di quello che lo stesso Scalfari definì una volta “l’avvocato di panna montata” Gianni Agnelli.

In questa tredicesima domenica liturgica del tempo ordinario, vigilia peraltro della festività tutta romana dei Santissimi Pietro e Paolo, mi è sembrato che Scalfari abbia pagato il suo terzo prezzo al cambiamento ultimo di proprietà, dopo il commiato dall’amico Carlo Verdelli, felicemente tornato come editorialista al Corriere della Sera, e l’accoppiamento del suo editoriale in prima pagina con quello del nuovo direttore Maurizio Molinari, pur rispettosamente collocato graficamente sotto il suo.

Il terzo prezzo è una certa, maggiore distanza presa da Giuseppe Conte, sui cui “futuro” il don Eugenio  crocianamente inteso si è interrogato nello stesso titolo dell’editoriale per assegnargliene praticamente uno, abbastanza modesto, di prosecutore chissà sino a quando e come nel suo  scomodo ruolo di presidente del Consiglio. Non ne ha più scritto, come qualche domenica fa, come di un possibile successore di Sergio Mattarella al Quirinale, magari per lasciare finalmente Palazzo Chigi al forse più attrezzato Mario Draghi.

Vuoi per un certo deterioramento in corso dei rapporti col Pd di Nicola Zingaretti, che lo  vorrebbe più “concreto” e tempestivo nelle decisioni, vuoi per le ricorrenti, anzi crescenti voci di una mezza liaison politica con Silvio Berlusconi o qualche suo ambasciatore, vuoi per il recentissimo scontro a distanza con la cancelliera tedesca  Angela Merkel, di cui il presidente del Consiglio italiano non ha gradito la sollecitazione a usare il finanziamento del sistema sanitario italiano con i fondi del cosiddetto Mes ancora odiato nella maggioranza dai grillini, e non solo da Matteo Salvini e Giorgia Meloni nell’opposizione, il cronista o veggente di tante corse al Quirinale ha tolto improvvisamente dalla gara il povero Conte, trovandolo “persona non caratterizzata ad una carica di quel tipo”. Che si renderà libera, come si sa, non domani, non nel prossimo autunno, quando le gare saranno altre, di tipo elettorale e referendario, neppure l’anno prossimo, ma a febbraio del 2022.

La ragione di questa improvvisa retrocessione, pur occultata dalla omissione delle precedenti  sponsorizzazioni, l’ha spiegata  lo stesso Scalfari scrivendo che “Conte  ha il pregio dell’intelligenza ma il difetto di una limitata volontà”, e dedicandogli “la canzone di un’antica reclame: canto quel motivetto/ che mi piace tanto/ e che fa dudu-dudù/ dudù- dudu”. Che poi, per caso, molto per caso,  è anche il nome di un cagnolino bianco col quale ha giocato per qualche tempo Berlusconi con l’allora fidanzata Francesca Pascale.

Otre a cancellarlo dalla sua lista dei candidati al Quirinale, Scalfari ha tolto dall’ immaginario Pantheon di Conte la buonanima di Aldo  Moro, pur lasciandovi “De Gasperi, Saragat, Ciampi e soprattutto Einaudi”. Moro, con la famosa “Balena Bianca” dedicatagli da Giampaolo Pansa, non più. Forse Scalfari deve limitarsi a partecipare alla festa odierna di Libero, con tanto di foto in prima pagina, per il ritorno della “Foca monaca” nelle acque dell’isola di Capraia. Di balena bianca, manco a parlarne.

Tutti i Graffi di Damato. 

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