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L’autogol di Salvini di aver spinto Draghi a chiamare Putin

Draghi

I Graffi di Damato

Non foss’altro per consolarsi di fronte ai sei punti che ormai lo separano nei sondaggi elettorali da Giorgia Meloni, la concorrente alla leadership del centrodestra e a un pur improbabile Palazzo Chigi al prossimo giro, a dispetto di tutte le difficoltà della coalizione improvvisata da Silvio Berlusconi nel lontano 1994, Matteo Salvini potrebbe a prima vista vantarsi della telefonata appena fatta da Mario Draghi a Putin per la guerra in Ucraina. Fu proprio il capo della Lega la settimana scorsa, nella discussione seguita all’”informativa” del presidente del Consiglio, a suggerire, chiedere, reclamare, come preferite, una chiamata al Cremlino. E a lasciar credere di avere buoni motivi per credere che Putin non aspettasse altro per aprire spiragli finalmente di pace.

Draghi ha impiegato un po’ di giorni per chiamare Putin, essendosi prevedibilmente, anzi auspicabilmente consultato con alleati e amici, visto che l’Italia partecipa ancora alla Nato e all’Unione Europea. Qualcuna delle proposte di Salvini, per esempio quella dello sblocco delle esportazioni di grano ucraino, Draghi l’ha accolta. Della rinuncia di Mosca ad ospitare l’Expo del 2030 Draghi non ha fatto in tempo ad avvalersi perché Putin ci aveva rinunciato da solo, ma non certo -come suggerito appunto da Salvini- per sostenere la candidatura dell’ancora ucraina Odessa, peraltro concorrente anche di Roma.

Il guaio però per Salvini è che le sue presunte o reali informazioni su umori e disponibilità del Cremlino si sono rivelate una sòla, come dicono a Roma, per cui vantarsi della telefonata di Draghi potrebbe diventare addirittura un’autorete nei rapporti per lui così importanti con la Meloni per i fatti di casa nostra. Putin è disposto a sbloccare il grano dell’Ucraina, che intanto sembra essere stato per un bel po’ rubato dai russi, a condizione che cessino le sanzioni adottate contro Mosca non singolarmente dall’Italia ma dall’Unione Europea e da altri ancora. La conclusione tratta da Draghi è analoga a quella della precedente telefonata: il capo del Cremlino non ha ancora voglia di pace, se mai ne avrà. Continua ad avere voglia solo di guerra e di acquisizione di terre altrui.

Non parliamo poi della fine fatta anche al Cremlino del famoso piano di pace predisposto dall’Italia, pur allo stato “embrionale”, come ha precisato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio dopo i primi segnali negativi giunti dalla Russia. L’omologo di Di Maio a Mosca è intervenuto, non certo a sorpresa di Putin, per liquidare il piano italiano come inconsistente: cosa che in Italia avrà forse fatto piacere anche a Giuseppe Conte, che per ragioni interne al MoVimento 5 Stelle di cui è presidente, tiene a Di Maio come Matteo Salvini alla Meloni, e viceversa, nel centrodestra.

In questa situazione appare quanto meno avventurosa la costanza del segretario del Pd Enrico Letta nel perseguire l’alleanza con Conte, concordando con lui primarie in Sicilia per affrontare con candidati comuni le elezioni regionali dell’autunno prossimo: una specie di antipasto delle elezioni politiche dell’anno prossimo. Vedremo che, fra i due, ci rimetterà di più.

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