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Le armi sanitarie di Palazzo Chigi

Palazzo Chigi

I Graffi di Damato sulle munizioni sanitarie del presidente del Consiglio a Palazzo Chigi

Ho aspettato smentite, precisazioni e quant’altro dopo un servizio del direttore del TempoFranco Bechis, su Palazzo Chigi trasformato in una specie di “ospedale” casalingo di Giuseppe Conte. Le ho aspettate per carità di Patria, orgoglio nazionale, senso della misura, diffidenza antiscuppista, chiamiamola così, ed altre ragioni ancora. Fra le quali c’è stato anche il timore di scivolare inconsapevolmente, avendogli già mosso tante critiche, nel nuovo sport nazionale dell’anticontismo che si sta sviluppando purtroppo col contributo dello stesso presidente del Consiglio, e nonostante i gradimenti in crescita nei sondaggi a suo favore prima ch’egli cominciasse ad eccedere, a mio avviso, sui teleschermi.

Poiché sono mancate, almeno per quanto abbia potuto verificare spulciando agenzie e giornali, smentite o precisazioni, e ricordo bene l’amico Bechis sempre impegnato alla Camera a compulsare documenti, debbo esprimere il mio sconcerto per come in questa emergenza da coronavirus Palazzo Chigi abbia davvero assunto l’aspetto di un ospedale più attrezzato di tanti nosocomi trovatisi in serie difficoltà negli approvvigionamenti sanitari. Non  arrivo a paragonare Conte al tristemente famoso ex comandante Francesco Schettino, come ha appena fatto il direttore del Tempo tornando alla carica, ma qualcosa francamente non torna nelle iniziative del presidente del Consiglio.

CHE È SUCCESSO A PALAZZO CHIGI FRA FINE FEBBRAIO E METÀ MARZO

Fra il 26 febbraio e metà marzo, mentre in molti ospedali si stentava ad essere riforniti delle attrezzature necessarie a fronteggiare l’emergenza, per non parlare dei comuni cittadini che si rivolgevano inutilmente alle farmacie e simili, Palazzo Chigi veniva fornito da aziende del Bergamasco, del Veneto, della Puglia, della Pontina e di Roma di questo po’ po’ di roba, nell’ordine  indicato dal direttore del Tempo con tanto di quantità e di prezzi, tutti pattuiti, a quanto pare, per via breve, al di fuori del complesso circuito della centrale dei pubblici acquisti nota come Consip: 500 mascherine AP-VR FFP3 al prezzo di 7 euro e 98 centesismi ciascuna, 10 mila mascherine chirurgiche al prezzo di venti centesimi l’una, altre 32 mila 400 mascherine analoghe, poi altre 1800 e 900 camici di visitatore non chirurgici, 270 taniche da 5 litri di gel disinfettante, 50 flaconi di sapone antibatterico da mezzo litro con dosatore, 130 flaconi di gel disinfettante da mezzo litro, sempre con dosatore, 310 confezioni da 100 pezzi l’uno di guanti monouso in nitrile, 330 camici in TNT idrorepellenti con rinforzo, 4 bombole da 14 litri di ossigeno terapeutico, 7 bombole analoghe da due litri, farmaci non dettagliati per 9 mila euro, un frigorifero di 2500 euro per la conservazione di farmaci e vaccini, 2 defibrillatori semiautomatici DAE, un elettrocardiografo Mortara e un altro Cardiette per pronto soccorso.

Peccato che, nonostante queste munizioni sanitarie da artiglieria, a disposizione naturalmente non solo di Conte ma – credo – dei 4600 e più dipendenti della Presidenza del Consiglio, distribuiti fra Palazzo Chigi e altre sedi, almeno nelle valutazioni risalenti al 2012, sia rimasta vittima del coronavirus, stroncata a 52 anni di età in un ospedale romano, la più imponente e simpatica guardia del corpo  del presidente del Consiglio. In ricordo e onore della quale si è giustamente svolta tra il cortile di Palazzo Chigi e Palazzo Colonna una toccante cerimonia delle forze dell’ordine. Si chiamava Giorgio Guastamacchia, per disgrazia infettatosi evidentemente  fuori servizio, lontano da tutto quel ben di Dio previdentemente e tempestivamente acquistato da Palazzo Chigi per mettere in sicurezza il personale addetto direttamente o indirettamente alle funzioni e alla sicurezza del capo del governo.

 

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