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Le incognite per il governo Conte

I Graffi di Damato sui dubbi che aleggiano sul governo Conte 2 tra Bruxelles e maggioranza giallorossa

L’Europa ci farà pure lo sconto, grazie al nuovo governo di Giuseppe Conte, in cui i grillini hanno sostituito la Lega col Pd, applicando con più flessibilità le regole sul deficit, in attesa che esse cambino, come ha appena auspicato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma qualcosa a Bruxelles non si sta muovendo nel migliore dei modi per l’Italia.

L’INCARICO DI GENTILONI A BRUXELLES

Il presidente del Pd Paolo Gentiloni, pur con tutta la carriera politica che ha alle spalle per essere stato prima ministro degli Esteri e poi presidente del Consiglio, non è ancora sicuro di ottenere nella nuova Commissione dell’Unione l’incarico di prima fila degli affari economici che si aspettava nel momento della designazione. E che, sotto sotto, gli aveva adombrato la presidente della stessa Commissione, la tedesca Ursula von der Leyen, ricevendolo a Bruxelles.

“Credo -ha testualmente dichiarato lo stesso Gentiloni con linguaggio diplomatico alludendo alle resistenze che sta incontrando da parte dei Paesi nordici e più rigoristi- che l’Italia abbia tutto il diritto, e direi anche il dovere, di svolgere il ruolo che le spetta, in un ruolo importante”, che “spesso coincide con l’ambito economico”.  Ma all’ambito economico potrebbero essere attribuite, secondo chi gli resiste, anche le competenze del commissario per l’Industria, come risulta in una lista che circola in questi giorni a Bruxelles, o per la Concorrenza, come fu a suo tempo Mario Monti.

UN POTERE CONTRATTUALE NON ALTISSIMO

In ogni caso Gentiloni a Bruxelles e Conte a Roma accetteranno qualsiasi conferma o sorpresa, sapendo evidentemente di disporre al vertice dell’Unione, anche ora che dal governo è stata allontanata la troppo “sovranista” Lega di Matteo Salvini, di un potere contrattuale non altissimo, diciamo. Lo stesso Gentiloni, come hanno riferito i due giornalisti del Messaggero che ne hanno raccontato la partecipazione ad una cerimonia a Santa Severa per ricevere il premio europeo intestato al compianto liberale Giampiero Orsello, ha già cominciato a cercare casa a Bruxelles con la moglie per trascorrervi i prossimi cinque anni, quanto durerà il suo incarico di commissario. “Normalmente -ha peraltro osservato Gentiloni con una malizia forse inferiore a quella immaginata da molti leggendone le parole- in questo lasso di tempo cambiano tre governi in Italia”. “Per carità, non mi sto augurando -ha aggiunto- che Conte cada” col governo appena formato, che sta per presentare alle Camere per la fiducia e che Gentiloni ha definito “di necessità”, senza abbandonarsi ad altre più compiaciute e ottimistiche definizioni formulate nel suo partito. Dove il segretario Nicola Zingaretti parla, per esempio, di governo del “coraggio”, della “pacificazione” e “di legislatura”, immaginandone quindi la durata sino al 2023.

A dispetto di tanta fiducia, speranza, ottimismo o come altro si voglia chiamare questo approccio di Zingaretti al secondo governo di Conte, voluto nel Pd da un mobilissimo Matteo Renzi prima ancora che da lui, sarà forse esagerato quel titolo di Libero su grillini e piddini che “si scannano già”, ma di certo non si può dire che stiano vivendo in armonia questi primi giorni di alleanza.

I DUBBI SU DI MAIO AGLI ESTERI

Tra un Luigi Di Maio – “of Maio”, lo ha sfottuto Aldo Grasso sulla prima pagina del  Corriere della Sera raccogliendo e rilanciando l’umorismo scatenatosi in internet dopo la sua nomina a ministro degli Esteri- che lancia o non smentisce gli avvertimenti a Conte attribuitigli con la formula “comando io” nel Movimento delle cinque stelle, e la crescente diffidenza verso il Pd da parte di un giornale come il Fatto Quotidiano, sensibilissimo agli umori grillini, c’è francamente ben poco da scommettere sulla durata o tenuta del nuovo governo. “Ma è il Pd o la Lega?”, si è appena chiesto nel titolo di copertina il giornale diretto da Marco Travaglio, che ha dedicato anche il suo editoriale a questa domanda  che  da sola basta ed avanza a capire ciò che già bolle, o continua a bollire, nella pentola del partito maggiore di governo. Dove -ripeto- a comandare è deciso a restare Di Maio, anche a costo di creare a Conte una quantità e qualità di problemi non inferiori a quelle di Salvini, ritrovatosi alla fine all’opposizione.

 

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