I leader del centrodestra prendono l'impegno a discutere del Media freedom act e nel frattempo…
Le infatuazioni della Stampa di Elkann per ‘spiderman’ Tajani
Il quotidiano di Torino ultimamente sembra avere una predilezione verso ‘i moderati’ di Forza Italia e del suo segretario Antonio Tajani
Fa un certo effetto leggere su La Stampa un paginone di sostanziale endorsement al segretario di Forza Italia. ‘La ragnatela di Tajani’ è il titolo del ‘pagellone’ firmato da Alessandro De Angelis, rubrica inaugurata la scorsa settimana con Matteo Salvini ‘il prigioniero’.
Forse sta racchiusa qui, unendo i vari puntini, la sintesi del nuovo corso del quotidiano torinese post Giannini che – con riferimento al centrodestra – sembra fare il tifo anche piuttosto esplicitamente per uno spostamento più al centro, verso i moderati, della coalizione che sostiene il Governo.
IL ‘PIZZINO’ DEL DIRETTORE DE LA STAMPA: LA PREMIER PER CONTINUARE DEVE GUARDARE AL CENTRO
Ecco ad esempio uno stralcio dell’editoriale dello scorso 3 marzo firmato dal direttore Andrea Malaguti, dal titolo già eloquente: ‘Costanza, i manganelli e il voto dei moderati’. Il direttore scriveva di aver fatto una chiacchierata con la sondaggista ed editorialista Alessandra Ghisleri subito dopo il voto in Sardegna che regalò la vittoria alla candidata grillina Alessandra Todde. Questo il pensiero della Ghisleri, così come riportato da Malaguti: “Meloni deve fare attenzione a non schiacciarsi su posizioni estremiste. Buona parte del suo elettorato arriva dalle file di Forza Italia. Ex berlusconiani in sostanza (il Cavaliere era anticomunista, come e noto, ma anche antifascista), moderati tradizionali che non amano le cariche della polizia, gli strappi istituzionali, i boschi di braccia tese e le nostalgie all’olio di ricino. Se le evochi, li irriti. Traducendo: o la premier ne tiene conto e fa due passi verso il centro, smettendo di considerare gli avversari come colonie di diritto latino (uguali ma non ugualissimi), o ne fa due verso l’uscita. Magari non subito, ma prima del previsto”.
Il messaggio sembra essere inequivocabile: se Giorgia Meloni vuole continuare a governare deve guardare più a Tajani che a Salvini. Tesi rinvigorita dall’exploit di Forza Italia in Abruzzo, dove gli azzurri hanno quasi doppiato la Lega. Una linea, che è emersa anche in queste ultime settimane, attraverso la particolare attenzione dedicata a Forza Italia (soprattutto alle dinamiche del centronord) e, di contro, accentuando invece i malumori in seno alla Lega.
Il motivo, stando a chi ha le antenne ben direzionate verso queste dinamiche, starebbe nel fatto che gli Elkann, il mondo industriale – in particolare del Nord – vogliono stabilità, sobrietà e certezze, senza i continui colpi di testa a cui siamo stati abituati in questi ultimi anni. Quindi, se centrodestra deve essere, che sia un centrodestra moderato trainato a chi si riconosce nell’Europa e non strattonato e condizionato da chi punta solo a sopravvivere politicamente.
LE INTERVISTE E LE COCCOLE AI FORZISTI E AGLI EX LEGHISTI NEO AZZURRI
Sicché, basta inanellare una serie di articoli. Il 21 febbraio intervista a tutta pagina a Letizia Moratti dal titolo “Con la famiglia Berlusconi sosterremo Forza Italia. Il Pe unico argine a sovranismi e populismi”. Il 25 febbraio, intervista al governatore piemontese nonché vicesegretario nazionale di Forza Italia, Alberto Cirio: “Moderati, ma non molli. Con la Lega alleati diversi”.
Il 4 marzo, intervista in apertura di prima pagina al ministro Tajani, principalmente di politica estera. Passiamo al 7 marzo con l’intervista a Marco Reguzzoni, ex punta di diamante della Lega di Bossi, che ha aderito al progetto di Forza Italia candidandosi alle prossime Europee. 14 marzo, intervista a Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano: “Forza Italia pronta al sorpasso, ci riprenderemo la Lombardia”. Fino al ‘pagellone’ di De Angelis.
IL ‘PASSO DELL’ALPINO’ DI TAJANI
“Più fortunato del principe Carlo sui tempi di attesa, Antonio Tajani – è il profilo tracciato dal giornalista – è, paradossi della storia, il meno berlusconiano della casa per indole. A Roma, erano apparecchiate le cene eleganti. Lui, a Bruxelles, incarico dopo incarico, andava a letto presto. E ha coltivato, per venticinque anni, relazioni ed esperienza, diventate oggi l’ancoraggio europeo di Giorgia Meloni. La sua vera risorsa, l’Europa, che lo ha messo a riparo dalle turbolenze italiane del berlusconismo e dai veleni di corte. Di essa, dopo un anno di gestione Tajani, non c’è più traccia. (…) Lui (ministro degli Esteri in pectore) ripeteva, invitando tutti alla calma: “Dammi tempo”. Fedele, da figlio di generale, alla regola che la meta si raggiunge con la pazienza e col “passo dell’alpino”. Un anno dopo i capigruppo sono Paolo Barelli, praticamente suo fratello, e Maurizio Gasparri, vecchio compagno di liceo, Marta Fascina è scomparsa dei radar assieme alle turbolenze sul governo”.
IL ‘MODERATISMO’ DEL SEGRETARIO DI FI
“Se il quid berlusconiano è genio, sregolatezza, ma anche dicerie, eccessi, Cafonal di Dagospia, la sua cifra è quella dell’uomo timorato di Dio e delle leggi, mai una chiacchiera. (…) Il suo è un moderatismo di istinto – argomenta De Angelis – più che di disegno e manovra. (…) Ha raccolto il testimone di Berlusconi più come legittimazione e continuità di una storia che come velleità emulativa e sfidante. La frontwoman è lei, Giorgia Meloni, e ha pure un bel caratterino, e Tajani lo sa. Ma accade che il quadro astrale sembra ben conciliarsi con quell’indole senza tanti sforzi. Perché l’inquietudine (e lo spazio) dei moderati c’è, ma il centrosinistra non si pone il problema e Salvini ha scelto la sfida “da destra”, nei panni del “guardiano della rivoluzione sovranista”. La prova del fuoco sarà con Giorgia Meloni in campo alle Europee, voto “politico” dove non basta il notabilato locale”, chiosa De Angelis.