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Le lezioni del prof. Zagrebelsky sul prof. Conte

Zagrebelsky

I Graffi di Damato sui giudizi di Gustavo Zagrebelsky a giorni alterni sui decreti virali di Conte

Bettino Craxi parlando una volta criticamente del suo ex sottosegretario Giuliano Amato — ormai diventato su sua stessa designazione presidente del Consiglio agli inizi della stagione giudiziaria e politica di “Mani pulite” — coniò la formula del “professionista a contratto” per chi mette o solo lasciava mettere le sue competenze, e il suo stesso prestigio, al servizio della causa o del committente di turno.

Il mio amico Giuliano, cui Craxi non perdonava, in particolare, di averne appena parlato al passato come uomo politico, pur essendo ancora egli in vita, e neppure trasferito definitivamente nella sua residenza tunisina, ci rimase comprensibilmente male. La frattura non si ricompose più. Anzi, si aggravò alla vigilia della morte di Craxi, quando l’ormai ex presidente del Consiglio e ministro in carica di un governo di Massimo D’Alema gli mandò in Tunisia una lettera chiamandolo “caro presidente”, anziché caro Bettino, forse pensando di onorarlo riservandogli una carica perduta tanto tempo prima.

RISCHIO DI APPARIRE UN “PROFESSIONISTA A CONTRATTO”

Ebbene, temo che abbia rischiato di apparire un “professionista a contratto” anche il professore e presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky con quell’intervista al Fatto Quotidiano pubblicata e vistosamente richiamata in prima pagina nel numero del 1° maggio, del valore doppio di uno normale perché destinato a durare non uno ma due giorni per la pausa di stampa della festa del lavoro.

“Macché Costituzione violata. Non sanno di cosa parlano”, gridava il titolo dell’intervista non forzando più di  tanto il pensiero di Zagrebelsky sui pur “tanti” decreti presidenziali dell’emergenza virale emessi dal capo del governo e contestatigli duramente anche da parti della maggioranza, come quella di Matteo Renzi. Che vi ha visto uno “scandalo costituzionale” e uno sconfinamento nei “pieni poteri”. Che pure erano stati chiesti agli elettori l’anno scorso dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini fra i rimproveri, nell’aula del Senato, dello stesso Conte già impegnato a fronteggiare la crisi in arrivo scaricando la Lega e assumendo al suo posto la sinistra.

I PIENI POTERI

Tutto è a posto, ha spiegato il professore ammettendo che “i giuristi”, lui compreso quindi, riescono a “rendere meravigliosamente oscure persino le questioni chiare” ma allo stesso tempo condividendo le spiegazioni appena fornite alle Camere dal presidente del Consiglio.  Quei decreti, per quanto in numero forse eccessivo, sono tutti contemplati da un decreto legge del 6 febbraio scorso regolarmente convertito in legge dalle Camere.

In verità, anche il premier ungherese Viktor Orban si è fatto dare i pieni poteri, fra le proteste di mezzo  mondo, con un voto dal  Parlamento. Che è finito o apparso pure in Italia — ha ammesso Zagrebelsky — un po’ “marginalizzato”, ma sempre in grado di intervenire, se e quando lo volesse davvero. D’altronde a sgonfiare i  decreti presidenziali, anche se Zagrebelsky si è dimenticato di ricordarlo, basterebbe un ricorso accolto dal Tar.

Al di là comunque di queste e di altre osservazioni possibili sulla materia, il giudizio minimalista o di copertura affidato da Zagrebelsky al giornale maggiormente schierato a favore di Conte contrasta con l’aggettivo applicato dal professore ai decreti presidenziali in un articolo ancora fresco di stampa su Repubblica: “stupefacenti”. Che nel dizionario della lingua italiana  di Giacomo Devoto e Giancarlo Oli equivale a qualcosa che “desta stupore” e si applica come sostantivo a sostante che “usate di continuo provocano assuefazione e dipendenza con conseguenze deleterie su piano psichico e somatico”, o istituzionale e politico nel nostro caso.

 

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