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Le nuove divergenze fra Renzi e D’Alema

I Graffi di Damato sull’uscita di Renzi che ha bloccato il ritorno di Massimo D’Alema nel Pd

A sorpresa ma non troppo, in questa stagione politica dominata forse più dagli umori che dai progetti, più dai dispetti che dai confronti, più dai capricci che dai sentimenti, l’uscita di Matteo Renzi dal Pd per mettersi in proprio con la sua “Italia vera” ha bloccato il rientro di Massimo D’Alema nel partito da cui era uscito più di due anni fa con Pier Luigi Bersani, Pietro Grasso, Roberto Speranza, ora ministro della Sanità nel governo giallorosso di Giuseppe Conte, e altri.

L’ANNUNCIO DI MASSIMO D’ALEMA

L’annuncio lo ha dato lo stesso D’Alema parlando a Milano, giusto per il gusto -penserà qualcuno- di smentire Renzi, che nel salotto televisivo di Bruno Vespa aveva dato per sicuro, appunto, il ritorno a casa dell’uomo da lui “rottamato” nel Pd appena divenutone segretario. Ma non è un problema solo personale dei due ex amici, dei quali rimane negli album qualche fotografia di incontri cordiali e scambi di regali. No, Renzi con la sua scissione ha creato questioni serie di schieramento e persino d’identità nel Pd di Nicola Zingaretti. Che non a caso ha disertato all’ultimo momento la partecipazione ad una festa di partito in cui doveva confrontarsi col ministro Speranza. Il quale, a sua volta, ha smentito pure lui, come D’Alema, sia pure in modo meno accidioso, il ritorno nel Pd  -almeno per ora- degli scissionisti del 2017.

I VANTAGGI DEL PD

Il partito di Zingaretti insomma, con la comprensione dei suoi compagni separati, non vuole tingersi di rosso più di quanto non sia avvenuto  durante la crisi d’agosto, quando il segretario prima ha aperto improvvisamente ai grillini e poi è speso dietro le quinte per fare entrare nel governo e nella maggioranza anche i “liberi e uguali”, appunto, di Bersani, D’Alema, Grasso e Speranza. Che peraltro si erano già affacciati nelle liste del Pd nelle elezioni europee del 26 maggio scorso.

Anche ai compagni separati, d’altronde, dev’essere alla fine apparso più vantaggioso rimanere “distinti e distanti”, come diceva di altri ai suoi tempi Francesco Cossiga, dal partito di Zingaretti perché consapevoli che in una maggioranza a quattro – Grillini, Pd, Leu e Italia viva –  Renzi avrebbe meno peso e forse anche spazio di manovra che in una maggioranza a tre, pur disponendo al Senato dei voti necessari per affondare il governo. Ciò,  naturalmente, a meno di soccorsi sotto traccia che potrebbero provenire a questo punto solo da Forza Italia. Dove le cronache attingono voci e quant’altro, senza uno straccio di smentita,  di affannosi contatti fra Conte in persona e la Corte, diciamo così, al maiuscolo, di Arcore divisa fra la paura di un centrodestra a forte trazione leghista e di un ricorso anticipato alle urne che, specie dopo la scissione di Renzi, metterebbe ancora più a rischio la sopravvivenza di Forza Italia.

L’estate è ormai alle ultime battute. Ma l’autunno politico si prospetta non meno caldo, come una volta accadeva solo in campo sindacale.

 

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