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Le scintille a 5 stelle su Di Maio

Di Maio

I graffi di Damato sulla questione libica intossica i rapporti sotto le cinque stelle guidata da Luigi Di Maio e nel governo

Mentre al Fatto Quotidiano – ripeto, Il Fatto Quotidiano, non certo il giornale meno informato delle vicende grilline o il più prevenuto – è stato annunciato “in esclusiva” su tutta la prima pagina che Luigi Di Maio è “vicino a lasciare la guida dei cinquestelle forse già prima delle regionali” del 26 gennaio in Calabria e in Emilia-Romagna, e si è spiegato all’interno, in un articolo di Luca de Carolis, che “il rapporto con Giuseppe Conte gli deve sembrare un Moloch” perché “di certo per lui è una pietra di paragone pesante come una montagna” anche all’interno del suo movimento, dove il presidente del Consiglio sta acquistando una influenza crescente; mentre – dicevo – tutto questo è stato sciorinato dal giornale diretto da Marco Travaglio, lo stesso Di Maio ha rilasciato al Corriere della Sera una intervista a dir poco imbarazzante e imbarazzata. Che al vignettista Emilio Giannelli ha ispirato un ministro degli Esteri quasi sfottente verso il capo del governo.

LE RASSICURAZIONE DI LUIGI DI MAIO

“Non provate a metterci l’uno contro l’altro perché non è così. Con Conte ci coordiniamo continuamente”, ha assicurato Di Maio, incalzato dall’intervistatore sulla questione libica dopo il tentativo fallito del presidente del Consiglio di fare incontrare a Roma i due rivali che si contendono il governo di quel Paese, cioè il premier riconosciuto dall’Onu al Sarraj e il generale Haftar, l’unico presentatosi all’appuntamento a Palazzo Chigi.

L’INIZIATIVA DI CONTE PER LA QUESTIONE LIBICA

Tuttavia, sempre a proposito della Libia e dell’iniziativa assunta da Conte con esito a dir poco deludente, il ministro degli Esteri ha quanto meno mostrato, a torto o a ragione, di prenderne le distanze dicendo che “il presidente ha la sua agenda, specie se deve ricevere un omologo. Il governo si muove in sintonia”. Ma, andando  al sodo della questione, chi è davvero considerato da Conte il suo omologo in Libia: ancora Sarraj, sostenuto sempre più vigorosamente dal presidente turco Erdogan, o il generale che gli sta facendo la guerra con l’aiuto anche del presidente russo Putin?

Questa domanda è molto meno peregrina e provocatoria di quanto non possa sembrare se, in fondo, se l’è posta nella maggioranza di governo, non dall’opposizione, un uomo come il senatore Pier Ferdinando Casini, molto attento ai problemi di politica estera. Intervistato dal Foglio, egli ha infatti condiviso l’immagine dei “binari sbagliati” imboccati da Conte nella “ricerca del colpo mediatico” sullo scenario libico ormai sfuggito di mano all’Italia, chissà se destinata a ricevere almeno un invito alla cerimonia che segnerà l’accordo fra turchi e russi sulla testa dell’Europa. “L’Italia ha perso la sua guerra”, ha titolato del resto in prima pagina anche la Repubblica.

L’INCONTRO A PALAZZO CHIGI CON HAFTAR

“Non è neppure ipotizzabile – ha detto Casini al Foglio – che Sarraj fosse all’oscuro dell’incontro programmato con Haftar. Questi appuntamenti vanno gestiti nell’assoluto riserbo. Haftar andava incontrato presso la caserma di Tor di Quinto, non a Palazzo Chigi. Lo strombazzamento ha irritato Sarraj e la coalizione che lo sostiene. Esiste un’opinione pubblica anche in Libia. E Haftar è l’uomo che, pochi giorni or sono, ha rivendicato l’attacco aereo sull’accademia militare di Tripoli, salvo poi smentire”.

Un giudizio negativo sulla gestione del problema libico da parte del governo è giunto, in una intervista al Corriere della Sera, anche dall’ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Commissione Europea Romano Prodi. Che negli anni passati avrebbe ben potuto essere incaricato di occuparsi di questa vicenda come “inviato”, per l’esperienza e i contatti internazionali maturati, se Matteo Renzi a Palazzo Chigi non si fosse messo di traverso. “Certo, se penso al ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov che incontra Di Maio, mi immagino le difficoltà di quell’incontro”, ha detto Prodi calcando questa volta la mano più su Di Maio che su Conte. Ma invertendo l’ordine dei fattori, si sa, il prodotto non cambia.

 

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